Tartaro dentario e microbiota umano, come i batteri si sono evoluti con noi
Ripercorrere l’evoluzione dello stile di vita dei nostri antenati vissuti nel Sud Italia tra Paleolitico e Neolitico attraverso lo studio del tartaro dentario.
È il risultato ottenuto dallo studio coordinato dall’Università di Firenze e dall’Università di Padova, che è stato pubblicato sulla rivista «Nature Communications» in un articolo dal titolo Ancient oral microbiomes support gradual Neolithic dietary shifts towards agriculture (DOI 10.1038/s41467-022-34416-0).
I ricercatori hanno estratto il DNA antico da 76 campioni di tartaro dentario e sono riusciti a ricostruire l’antico microbiota orale di cacciatori-raccoglitori paleolitici (31.000-11.000 a.C.) del nostro meridione e a confrontarlo con quello di campioni del Neolitico (6.200-4.000 a.C.) e dell’età del Rame (3.500-2.200 a.C.) provenienti dalle stesse aree geografiche.
Secondo lo studio il microbiota orale – che gioca un ruolo fondamentale in numerosi processi fisiologici – varia in relazione ai cambiamenti nelle strategie di sopravvivenza: la composizione batterica, infatti, si adatta in maniera graduale e progressiva al nuovo sistema di sussistenza agricolo.
I ricercatori hanno individuato due fasi, entrambe risalenti al Neolitico. Un primo cambiamento si registra tra il 6.200 e il 5.000 a.C., nei primi secoli della transizione all’agricoltura: numerose nuove specie di batteri popolano il microbiota orale tra cui molte che oggi si ritengono responsabili di patologie orali e autoimmuni. In questo arco temporale però, il microbiota dei primi agricoltori mantiene anche molti aspetti del microbiota delle comunità di cacciatori-raccoglitori paleolitici. La seconda modificazione, più marcata, inizia nella seconda metà del Neolitico (4.500-3.500), un periodo caratterizzato da cambiamenti significativi anche a livello climatico e ambientale: le nuove specie di batteri nella cavità orale dei nostri antenati diventano preminenti, mentre quelle presenti nei campioni paleolitici tendono quasi a scomparire.
«Il tartaro dentario è un materiale molto informativo, ma nei resti umani antichi è spesso presente in quantità estremamente esigue e può essere contaminato da residui di suolo – spiega Martina Lari (foto in allegato), antropologa del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze e senior author del lavoro –. Nei laboratori di Firenze abbiamo applicato procedure rigorose per eliminare le contaminazioni da batteri moderni e garantire l’autenticità dei risultati del sequenziamento. Inoltre, utilizzando un approccio di analisi combinato sviluppato nel nostro Dipartimento grazie a una sinergia tra antropologi molecolari e paleobotanici, abbiamo potuto ricostruire il microbioma e parallelamente analizzare i resti vegetali della dieta anche dai campioni che presentavano residui di tartaro di pochissimi milligrammi, come nel caso degli individui del Paleolitico».
Allo studio hanno partecipato anche Alessandra Modi e Valentina Zaro, che hanno estratto e sequenziato il DNA antico, e David Caramelli. Sono inoltre coinvolti ricercatori delle università la “Sapienza” di Roma, Bologna, Siena, e del Ministero della Cultura (MiC).