Stasera Spotlight presenta: “Il cucchiaio di Herman”
Nuova stagione della rubrica d’inchiesta del canale all-news
Una pagina di storia oscura e rimossa, ma indelebile per chi l’ha vissuta: l’occupazione italiana nei Balcani durante la seconda guerra mondiale, quando oltre centomila civili furono deportati nei campi di concentramento fascisti.
Tra il 1942 e il 1943, nel campo dell’isola di Arbe (Rab) trovarono la morte quasi millecinquecento sloveni e croati. Erano soprattutto donne, anziani e bambini: i loro villaggi erano stati incendiati e rasi al suolo dal regio esercito per ostacolare i partigiani jugoslavi nei rifornimenti.
Furono internati in una tendopoli e lasciati morire di stenti e malattie.
“Si moriva in modi diversi. Qualcuno morì mentre mangiava perché era talmente senza forze che non riusciva più neanche a masticare – ricorda Slavko Malnar, bambino nel campo di Arbe – “Mi ricordo del mio vicino Matija, gli piaceva cantare una canzone che si intitolava O gioventù mia dove te ne sei andata. Ricordo che l’ha cantata fino a metà, poi è rimasto senza fiato ed è morto”.
Una storia di colpe, quella dell’occupazione italiana nella ex Jugoslavia, nella però trovano posto anche storie di segno diverso, come la protezione riservata ai serbi, perseguitati dagli ustascia, o l’internamento degli ebrei nel campo di Arbe, che rappresentò per loro la salvezza dalla deportazione nei campi di sterminio.
I bambini sloveni sopravvissuti ai campi racconteranno quell’esperienza nei disegni fatti a scuola, ritrovati negli archivi del Museo di Lubiana, e nei quali un internato li disegnerà immobili, in cerchio, senza energie, o vicini al reticolato, nella speranza di qualche briciola di pane.