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Gioacchino Volpe, tra storia e politica
Gioacchino Volpe fu uno dei massimi storici italiani del Novecento (“il maggiore della mia e sua generazione”, secondo Gaetano Salvemini), ma fu anche uno dei grandi intellettuali del fascismo che oltretutto, sopravvissuto a lungo alla fine del regime (morì nel 1971), ebbe sempre in gran dispetto l’Italia democratica e repubblicana, figlia ai suoi occhi della sconfitta militare e della resa. Assume perciò un rilievo particolare, che va oltre il dato locale (Volpe era nato nel 1876 a Paganica, nei pressi dell’Aquila), il fatto che il convegno su di lui che si tiene in questi giorni all’Aquila sia stato organizzato proprio dall’Istituto abruzzese per la storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea.
I suoi libri sono esauriti da tempo, come è il caso, ad esempio, di uno dei suoi testi più fortunati: l’ampia sintesi di storia medievale uscita nel 1927, che concludeva anni e anni di studi originali destinati a influenzare a lungo la medievistica italiana. Di questo libro Croce criticò lo stile “cinematografico”, inteso come un’affannata accumulazione di dati descrittivi senza capacità di pervenire a una interpretazione unitaria del corso storico. Ma il suo giudizio sicuramente risentiva della rottura politica che era intervenuta fra i due intellettuali. Riletto oggi quel libro conserva molto del suo fascino, proprio per la straordinaria capacità di tenere assieme una molteplicità di fenomeni e avvenimenti.