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La congiura napoletana dei Baroni
Il significato della congiura dei baroni, sviluppatasi tra il 1485 e il 1486, consiste fondamentalmente, come opportunamente fu sottolineato dallo storico Ernesto Pontieri, nella resistenza opposta dai baroni all’opera di modernizzazione dello Stato perseguita dagli Aragonesi a Napoli. Il re Ferdinando I di Napoli (o Ferrante) aveva mirato a dissolvere il particolarismo feudale e fare del potere regio la sola leva di vita del paese. In questo quadro, lo scontro con i baroni era sorto inevitabilmente attorno al problema di una «riforma organica dello Stato», i cui cardini erano la riduzione del potere baronale, lo sviluppo della vita economica e la promozione a classe dirigente dei nuovi imprenditori e mercanti napoletani.
Strumento di questa politica fu la riforma fiscale, che affidava nuovi compiti alle amministrazioni comunali (le università), incoraggiandole a sottrarsi, per quanto possibile, al peso feudale. Ed in verità è stato calcolato che allora nel Regno di Napoli, su 1 550 centri abitati, poco più di 100 erano assegnati al regio demanio, cioè alle dirette dipendenze del re e della corte, mentre tutti gli altri erano controllati dai baroni, il che significava che il potere nel suo complesso era titolare delle risorse del Regno.