Palermo, 1936. Tommaso Scalia si macchia di tre crimini: accoltella e uccide il suo ex capo, l’avvocato Spatafora, che lo aveva licenziato; elimina il collega che lo ha sostituito presso una organizzazione sindacale fascista e, infine, uccide anche la moglie dopo averla violentata. Una storia che Gianni Amelio racconta in “
Porte aperte” in onda sabato 8 febbraio alle 21.10 su Rai Storia per il ciclo “Cinema Italia”. Tra gli interpreti, Gian Maria Volontè, Ennio Fantastichini, Renzo Giovampietro, Renato Carpentieri, Lidia Alfonsi.
Secondo il Codice penale dell’epoca è prevista la pena di morte con fucilazione alla schiena. Ma il coraggioso Vito Di Francesco, un giudice “a latere” nel processo, cerca di trovare delle attenuanti, detestando l’idea stessa della pena di morte, che considera una prova manifesta di inciviltà giuridica e umana, pur di fronte all’assassinio più orrendo. Riuscirà a trovare una pena alternativa?
Il titolo del film riprende quello del libro, e in una scena del film si comprende chiaramente il significato dell’espressione, quando si fa riferimento alla propaganda fascista. Secondo quest’ultima, la pena di morte sarebbe stata un deterrente sufficiente a garantire agli italiani di poter vivere con le “porte aperte” anche di notte. Una tesi che viene messa in dubbio dal protagonista del film in una discussione con un collega.
Un Volontè magistrale nel calarsi nel personaggio e renderne palpabile la tensione civile e la stanchezza esistenziale,dà l’unica risposta possibile al collega che sollecita il suo parere “ La pena di morte non è affare della giustizia ma della politica”. Poche parole,nessuna enfasi tribunizia nei suoi interventi nè crociate brandendo crocifissi. La sua è la voce della retta ragione umana,e non può che proclamare la verità, umana,anch’essa,ma è quanto basta. Alla sua si unisce quella di un uomo che è ancorato alla terra,ai suoi ritmi ancestrali e alle sue leggi eterne.