Stasera in tv torna Dorian. L’arte non invecchia
Henri Cartier-Bresson

Per tutta l’intervista, Cartier-Bresson – scomparso vent’anni fa – si copre il volto con le mani, rimane nell’ombra, sfugge. Un continuo gioco tra lo scomparire e l’apparire: “Il pubblico – dice – mi vorrà scusare se non lo guardo in faccia, ma il lavoro di cui mi occupo mi costringe a conservare l’anonimato. È un mestiere che si esercita a bruciapelo, prendendo la gente alla sprovvista e dove non è consentito a mettersi in mostra”.
Nel dialogo con Martinez, Cartier Bresson – che si definisce un memorialista, più che un reporter – parla del ruolo della fotografia, della responsabilità di chi si occupa di immagini, di rispetto per il soggetto fotografato, di falsificazione e di pubblicità in quella che, sessant’anni fa, definiva – “un’epoca che violenta la natura e disintegra l’immagine”.
Emerge, così, il ritratto di un viaggiatore e di un incredibile narratore del mondo, tra gli anni ‘30 e gli anni ’60: ha fotografato la Cina nel 1948 all’arrivo di Mao Zedong e successivamente nel 1958, ed è stato uno degli ultimi reporter ad incontrare e fotografare Gandhi. E poi il Messico, Cuba, ma anche la provincia italiana del primo dopoguerra, di cui sono celebri le sue foto di Scanno che hanno aperto la strada ad un pellegrinaggio di molti fotografi successivi sugli stessi luoghi. E a differenza dell’amico Robert Capa, con cui fonda l’agenzia Magnum, evoca più che documentare.