Stasera in TV: SeDici Storie. Tra Genova e Roma: Rinaldo Enrico e Sergio Lenci
Un elicotterista pilota, protagonista di un’operazione di soccorso rimasta nella storia di Genova e del suo mare, e un architetto vittima del terrorismo, a Roma: Rinaldo Enrico e Sergio Lenci. Personaggi e vicende raccontati “SeDici Storie”, in onda il 9 novembre alle 22.15 su Rai Storia.
Rinaldo Enrico, nato ad Albenga nel 1920, è tra i fondatori del Nucleo Elicotteri dei Vigili del Fuoco di Genova e – specializzato in missioni di soccorso alla guida di un Agusta Bell 52 “Libellula” – si distingue in vari soccorsi anche molto rischiosi, tra i quali quello per l’affondamento nel 1970 della nave “London Valour” davanti al porto di Genova, costato la vita a 20 marinai inglesi. Il 9 aprile 1970, la “London Valour”, ancorata in rada davanti alla diga foranea “Duca di Galliera” del porto di Genova, viene sorpresa da un forte libecciata con onde altissime. Per diverse ragioni, l’equipaggio non riesce ad avviare i motori della nave, che si va a schiantare contro la diga. Enrico, con il suo piccolo elicottero, si alza in volo nonostante il vento forte e riesce a salvare cinque marinai. Tra gli intervistati Aldo Baffo, ex capo pilota del Porto di Genova; e Marco Cuzzi docente di storia contemporanea alla Statale di Milano.
Sergio Lenci – di cui parlano il figlio Ruggero Lenci e Walter Veltroni – nasce, invece, a Napoli e si laurea in Architettura nel 1950 presso la Facoltà di Architettura della Sapienza Università di Roma, nel 1977 vince il concorso di Professore ordinario di Composizione architettonica, incarico ricoperto fino al 1999. Il 2 maggio 1980 Lenci subisce un’aggressione da parte di un gruppo di terroristi di Prima Linea: quella mattina, in otto, si recano al suo studio per ucciderlo sparandogli un colpo di pistola alla nuca. Sopravvissuto all’attacco, ha vissuto per i restanti 21 anni con un proiettile nella nuca. La sua “colpa” sarebbe stata quella di aver progettato il carcere di Roma-Rebibbia con criteri di rispetto dei diritti umani dei prigionieri, così da ridurre quel “potenziale rivoluzionario”, sul quale i terroristi avrebbero voluto poter contare nel momento della rivoluzione.