Stasera in tv Sciarada, il circolo delle parole
“L’Altro ‘900, Luciano Bianciardi”
Tutta la biografia personale di Bianciardi – nato a Grosseto il 14 dicembre 1922 e precocemente scomparso a Milano, città amata e odiata, il 14 novembre 1971 – si intreccia indissolubilmente con la sua opera e, in particolare con il capolavoro “La vita agra”, che esce nel 1962, agli albori del boom economico, riscuotendo un improvviso e inatteso successo fino a ispirare il film con Ugo Tognazzi diretto da Carlo Lizzani. “La vita agra” non è il primo libro di Bianciardi, è un unicum con “Il lavoro culturale” e con “L’integrazione”, analisi acute e sorprendenti di una società ammalata di consumismo e sedotta dalle sirene dell’industria postbellica. Le stesse sirene, che hanno determinato nella vita di Bianciardi l’allontanamento dalla città natale, Grosseto, dopo il disastro – peraltro annunciato – che il 4 maggio 1954 ha ucciso 43 minatori nei pozzi della vicina Ribolla. Ai minatori della Maremma, a lungo frequentati nelle sue peregrinazioni con il Bibliobus, il bus con cui lo portava libri a operai e contadini della provincia maremmana, Bianciardi ha dedicato, nel ’56, un libro scritto a quattro mani con l’amico Carlo Cassola. La tragedia di Ribolla è il detonatore della sua seconda vita: a Milano, che lo ammalia e delude, Bianciardi sperimenta da vicino i danni del nuovo benessere, le discriminazioni di classe, l’alienazione determinata da un lavoro che toglie agli individui sogni e libertà. Lavora alla Feltrinelli, che lascia dopo un solo anno, traduce, collabora con giornali e riviste, scrive.