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A cosa va incontro il patrimonio artistico di un Paese che entra in guerra? Vale la pena rischiare la vita per salvare un’opera d’arte dalla distruzione? Interrogativi al centro del documentario diretto da Massimo Martella, “Nel nome di Antea”, in onda stasera alle 21.10 su Rai Storia.
In primo piano due famosi ritratti della pittura italiana usciti indenni dalla Seconda Guerra Mondiale, insieme a migliaia di altri capolavori. Un salvataggio messo in atto da un pugno di giovani funzionari italiani delle Belle Arti, il cui coraggio e dedizione sono rimasti nell’ombra fino a pochi anni fa. Tra le storie raccontate quella di Pasquale Rotondi, che in due rifugi nelle Marche mise in salvo migliaia di opere del Nord Italia; quella di alcuni funzionari ministeriali come Lavagnino, Argan, Lazzari che, pur privati di ogni incarico dal nuovo governo della Repubblica Soiale, riuscirono a salvarne una parte all’interno del Vaticano; e l’odissea delle opere d’arte napoletane, portate via da Montecassino dove erano nascoste, poco prima che l’abbazia venisse rasa al suolo e dei capolavori dei musei fiorentini, trafugati dai nazisti e recuperati prima che passassero il confine.
Ma anche c’è l’impegno dii due giovani studiose, Palma Bucarelli e Fernanda Wittgens, che unendo competenza e sprezzo del pericolo salvarono i capolavori loro affidati. Infine, i tentativi di restaurare ciò che sembrava irrimediabilmente perduto. Anche se non tutto si è salvato, è grazie a loro che è oggi possibile ammirare e mostrare al mondo i Caravaggio, i Giorgione, i Raffaello. Il generale Clark disse che fare la guerra in Italia era come combattere in “un maledetto museo”. Quel museo è sopravvissuto e se da un lato continua a raccontare la storia della nostra identità, dall’altro trasmette immutato a chiunque venga a visitarlo nei musei e nelle piazze italiane il valore universale della bellezza.