Stasera in tv grande appuntamento con Turandot
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Stasera in tv grande appuntamento con Turandot 

Ricordo di Franco Alfano

Stasera in tv grande appuntamento con Turandot
In occasione del 150° anniversario della nascita del compositore Franco Alfano, Rai Cultura ripropone la “Turandot” di Puccini da lui completata nella sontuosa produzione del Teatro Carlo Felice con la regia di Giuliano Montaldo e la direzione di Donato Renzetti, in onda venerdì 7 marzo alle 22.05 su Rai 5. Protagonisti sul palco Daniela Dessì, Massimo La Guardia, Ramaz Chikviladze, Mario Malagnini, Roberta Canzian, Francesco Verna, Enrico Salsi, Manuel Pierattelli. Regia di Matteo Richetti.

La prima rappresentazione ebbe luogo nell’ambito della stagione lirica del Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926, con Rosa Raisa, Francesco Dominici, Miguel Fleta, Maria Zamboni, Giacomo Rimini, Giuseppe Nessi e Aristide Baracchi sotto la direzione di Arturo Toscanini, il quale arrestò la rappresentazione a metà del terzo atto, due battute dopo il verso «Dormi, oblia, Liù, poesia!» (alla morte di Liù), ovvero dopo l’ultima pagina completata dall’autore, e, secondo alcune testimonianze, si rivolse al pubblico con queste parole: «Qui termina la rappresentazione, perché a questo punto il Maestro è morto». Le sere seguenti l’opera fu messa in scena con il finale rivisto da Franco Alfano: si tratta del terzo e definitivo rimaneggiamento imposto ad Alfano da Toscanini, che sebbene contrariato lo diresse per la seconda e terza rappresentazione del 27 e 29 aprile 1926, passando poi la bacchetta ad Ettore Panizza, tanto per quell’occasione (otto recite in totale) come poi nelle tre stagioni seguenti. Toscanini, pur vivendo fino al 1957, non diresse mai più l’ultima opera di Puccini.

L’incompiutezza di Turandot è oggetto di discussione. Il nodo del dramma, che Puccini cercò di risolvere, è costituito dalla trasformazione di Turandot, algida, sanguinaria, in una donna innamorata: c’è chi sostiene che l’opera rimase incompiuta non a causa dell’inesorabile progredire del male che affliggeva l’autore, bensì per l’incapacità o l’intima impossibilità da parte del Maestro di interpretare quel trionfo d’amore conclusivo.

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