Il 7 febbraio 1945 un commando delle formazioni d’assalto GAP del partito comunista attacca il comando della I Brigata Osoppo, una formazione partigiana di orientamento liberale che aveva il suo quartier generale nelle cosiddette malghe di Porzûs. Sono 18 i partigiani uccisi dai comunisti, solo 3 i superstiti. A ottanta anni dalla strage, il professor Tommaso Piffer affronta con Paolo Mieli questa pagina dolorosa della storia contemporanea a “
Passato e Presente”, il programma di Rai Cultura in onda sabato 8 febbraio alle 20.30 su Rai Storia. La strage di Porzûs è il più grave caso di scontro interno alla Resistenza italiana, e uno degli eventi più dibattuti della storia del biennio 1943-45. A chi va imputata la responsabilità della strage? Si tratta di una iniziativa personale del comandante dei GAP? Oppure i mandanti vanno cercati altrove? Che ruolo ha avuto il Partito comunista di Togliatti? Oggi il sito del massacro è classificato come monumento nazionale, ma queste domande hanno alimentato per decenni un acceso dibattito politico e storiografico.
Ieri e oggi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è in visita in Friuli-Venezia Giulia. Il quotidiano locale Il Messaggero Veneto titolava ieri “Porzûs, la riconciliazione”, riferendosi al fatto che una delle tappe del viaggio di Napolitano è stata nei luoghi dove è avvenuto uno degli episodi più controversi della Resistenza, l’uccisione di un gruppo di partigiani della Brigata Osoppo da parte di un gruppo di partigiani del partito comunista, nel febbraio del 1945.
Il cosiddetto “eccidio di Porzûs” ha una storia complicata e diversi punti poco chiari. A pochi chilometri dal confine con la Slovenia, in provincia di Udine, ci sono alcune zone che da molti secoli hanno una forte presenza slava, la cosiddetta “Slavia veneta”. Durante le ultime fasi della Seconda guerra mondiale, nella zona c’erano gruppi armati formati da persone di etnia slovena.