Mondi distanti dalla guerra, lontani dagli assalti e dai bombardamenti, ma coinvolti pienamente nello sforzo bellico: è quanto accadde nel primo conflitto mondiale, quando – nelle fabbriche, nelle scuole, in famiglia, in parrocchia – interi paesi furono, di fatto, militarizzati. L’Italia fu soggetta a una legislazione penale e a un’azione repressiva molto dura. I civili condannati dai tribunali militari furono oltre 60 mila e molte regioni dell’interno furono dichiarate “zone di guerra”. A raccontarlo è “’14 – ’18. Grande Guerra 100 anni dopo” – la serie prodotta da Rai Storia e presentata da Paolo Mieli con la narrazione di Carlo Lucarelli e la consulenza storica di Antonio Gibelli e Mario Isnenghi – in onda venerdì 27 settembre alle 22.10 su Rai Storia. In Inghilterra, in Francia e in Germania gli umori della popolazione sono divisi tra l’orgoglio nazionale e la nausea per una guerra che sembra non finire mai e ha creato vuoti in tutte le famiglie.
Nelle retrovie gli abitanti dei paesi e dei villaggi hanno dovuto convivere per tutto il periodo della guerra con la presenza costante dei militari. Ai due milioni di civili si sommarono, dal maggio 1915 all’ottobre 1917, 4 milioni di soldati. A livello pratico, questo aspetto della Grande Guerra rappresentò senza dubbio un problema per questi civili: la macchina militare era certamente ingombrante ed i soldati, a volte, si resero protagonisti di eccessi e violenze. Molti di loro, quando giungevano nei paesi delle retrovie, avevano appena superato un periodo piuttosto lungo in prima linea, in mezzo alle trincee e a stretto contatto con la morte. Lo stress, il nervosismo e la disperazione spesso li spinse a “sfogarsi” una volta tornati ad una vita più o meno normale. La dedizione di molti all’alcool poteva portare spesso a risse, violenze e attenzioni troppo esplicite verso le donne del paese.
Appuntamento imperdibile.