Il lato oscuro della vittoria italiana nella Grande Guerra è la storia dei 600.000 italiani catturati e deportati nei campi austro-tedeschi. Di questi 600.000 prigionieri circa 100.000 morirono di tubercolosi, di fatiche e di fame. Lo ricostruisce “’
14 -’18: Grande Guerra 100 anni dopo”, in onda venerdì 13 settembre alle 22.20 su Rai Storia.
Al di là dei morti sul campo o in prigioni, la Prima Guerra Mondiale per l’Italia si traduce anche nella tragica vicenda delle esecuzioni sommarie, delle decimazioni e delle condanne a morte (secondo i dati del Ministero della guerra quelle eseguite furono 750); e nel dramma dell’autolesionismo pur di non combattere e dei disturbi mentali dovuti alla guerra.
La prima guerra mondiale non fu l’origine dell’influenza spagnola, che non è ben chiara, ma la vita a stretto contatto dei soldati al fronte contribuì ad accelerare la sua diffusione e ad accrescerne la mortalità. Infettando circa cinquecento milioni di individui, principalmente soggetti adulti in salute, quest’influenza pandemica si diffuse in tutto il mondo, provocando, dal gennaio 1918 al dicembre 1920, dai venti ai cinquanta milioni di morti (circa il 3% della popolazione mondiale), diventando uno dei più micidiali disastri naturali della storia umana. Alcuni tessuti recuperati dai corpi congelati delle vittime hanno permesso di riprodurre il virus per eseguire degli studi che hanno potuto chiarire il modo di uccidere del virus, vale a dire provocando una tempesta di citochine che generava a sua volta una risposta esagerata del sistema immunitario, più debole nei bambini e nelle persone di età media, ma perfettamente funzionante in quelle adulte.
Le aree dove si fronteggiarono le opposte trincee furono totalmente distrutte e rese inabitabili per gli ordigni inesplosi, le sostanze tossiche e i resti di cadaveri che impregnavano il suolo. Sul fronte occidentale questi territori, che, in origine si estendevano per più di 1 200 chilometri quadri (460 mi²), furono espropriati.