Recensione: "Weimar. La Germania dal 1918 al 1933." L'intuito e la storia.

Recensione: “Weimar. La Germania dal 1918 al 1933.” L’intuito e la storia.

Recensione: "Weimar. La Germania dal 1918 al 1933." L'intuito e la storia. Recensione: "Weimar. La Germania dal 1918 al 1933." L'intuito e la storia.Weimar.
La Germania dal 1918 al 1933.
Gustavo Corni
Carocci Editore, collana Quality Paperbacks.

Che cosa dare all’intuito perchè sia ben nutrito e pronto a rispondere alle nostre richieste di esaminare quel che è stato o quel che ci circonda?
Lo si nutre di Storia. Il legame fra la Storia e l’intuito è spesso frainteso, si pensa che il sapere sia un contenitore passivo, ma la ricettività dell’intuito ben nutrito, dà un accesso immediato a una saggezza profonda.

Bisognerebbe riparare la rottura di questo legame.

I testi della collana Quality Paperbacks di Carocci editore, citano in copertina: “Una collana per chi ritiene che nella vita non si smetta mai di imparare”.

Occupandosi di una storia raccontata più volte, in tanti modi spesso contraddittori, Gustavo Corni, nel libro Weimar. La Germania dal 1918 al 1933, si trova a maneggiare un’energia archetipa, che può animare e illuminare, ma che nel posto sbagliato, nel tempo sbagliato e con un narratore impreparato non avrebbe l’effetto desiderato, se non addirittura un effetto opposto e deleterio.

Corni è uno storico dotato di una solida etica del lavoro, e come Peukert è convinto che la storia appartiene a tutti, non solo agli storici. L’introduzione al libro si apre proprio con una citazione dello studioso Peukert:“Weimar non si risolve nel suo inizio e nella sua fine”.

La Repubblica di Weimar è quel corridoio temporale che scivola tra la Grande Guerra e l’avvento di Hitler. Come un corridoio, spesso è stata narrata alla stregua di uno stretto passaggio, seppur drammatico, da una stanza all’altra. Sottolineando più volte l’inevitabilità del conseguirsi degli eventi, giustificando in tal modo l’avvento del Terzo Reich e del suo “Super-cattivo”.
Il Super-cattivo è comunemente considerato un alter-ego negativo del Supereroe. Piuttosto invece, esso andrebbe visto più che  un opposto del Bene, la sua origine stessa: senza super-cattivi, super-mali, mali sociali diffusissimi, mali della terra, della specie, non avremmo bisogno di Supereroi o super-soluzioni.

Dunque, sembra di poter dire che spesso è necessario un grande Male per risvegliare in un uomo e una donna qualsiasi, quel “potere” capace di portare un nuovo equilibrio. Nella vita di tutti i giorni c’è una coesistenza capillare tra gli aspetti di normalità, i pensieri e le gesta della gente comune e la grande Storia che piano piano prende forma come pensiero univoco di un lasso temporale.

Se uno storico evita di guardare alla società nel suo insieme non approda da nessuna parte.

Nel tentativo di esaminare in egual modo conformità e resistenza all’idea comune che si ha della breve e tragica stagione della Repubblica di Weimar, il testo segue un andamento temporale che si rallenta ed espande volutamente solo su due grandi temi: gli ebrei e le donne. Su essi lo sguardo dell’autore si allarga nel tempo e nella prassi, mostrando in controluce tutte le ambiguità e le contraddizioni di una società sconfitta e umiliata. Due sorprendenti capitoli, che si susseguono uno dopo l’altro, al centro della narrazione. Nel suo cuore ideale. Superando la disposizione puramente storica dei fatti, sono due profonde analisi della società dell’epoca e delle modalità di interazione tra due differenti minoranze che tendevano all’emancipazione, scontrandosi con la dura opposizione dei tradizionalisti, dei partiti conservatori, delle Chiese.

Le neue Frau motivo di propoganda repubblicana quale modello di donne libere, divennero per molti le responsabili del degrado morale della nazione, sottintendendo una silenziosa condanna politica alle istituzioni repubblicane. Allo stesso modo la repubblica di Weimar “segnò una nuova tappa nell’integrazione degli ebrei all’interno della società tedesca e, al contempo, fu il teatro di una acutizzazione estrema dell’antisemitismo”. (J. M. Keines).

Dopo la fine della Prima guerra mondiale in Germania c’è miseria, rabbia e frustrazione. Sulle ceneri dell’impero nasce un forte desiderio di rivincita e rinnovamento, che si esprime con straordinaria energia. La repubblica di Weimar è proclamata nel novembre del 1918. L’assemblea, inaugurata solennemente il 9 febbraio 1919, due giorni più tardi elegge presidente Ebert che, a sua volta incarica il socialdemocratico Philipp Scheidemann di formare un governo.

A Versailles, nel frattempo, è stata invitata con disprezzo una delegazione tedesca, a ricevere le condizioni di pace. Il trattato di Versailles impone pesanti gravami economici, politici e psicologici alla Germania sconfitta. La Germania è privata di tutte le sue colonie, si proibisce la fusione con l’Austria, si impone l’occupazione militare della sponda sinistra del Reno. L’esercito tedesco viene ridotto a 100.000 effettivi, la marina a 16.000, l’aeronautica vietata. Ma le condizioni più inaccettabili sono quelle contenute negli articoli che negano ai tedeschi quella cosa intangibile e impalpabile che è “l’onore”.

Il trattato prevede la consegna da parte della Germania dei “criminali di guerra”, tra i quali anche il deposto imperatore, perché siano processati per “atrocità”.

La Costituzione della repubblica di Weimar, nel suo contesto storico è sicuramente un gioiello di liberalità, basata com’è su di una delicata mescolanza di parlamentarismo e presidenzialismo. Molti diritti e istituzioni, normalmente presenti oggi in tutti i paesi democratici, nascono proprio in quel tempo.
Ma il merito non sta solo nel rappresentare un possibile precedente per il futuro democratico della Germania. In quegli anni si affermeranno, infatti, tendenze artistiche e correnti critiche che segneranno tutto il Novecento ben oltre i confini del mondo tedesco. Berlino fu negli anni ’20 e nei primi anni ’30 il massimo centro europeo dal punto di vista culturale, artistico ed ideologico.

Per le forze politiche e sociali tedesche tuttavia non era facile raccogliere l’eredità del Secondo Reich, sconfitto dalla prima guerra mondiale. Il nuovo stato doveva necessariamente prendere posizione sia rispetto al passato autoritario, sia nei confronti dei richiami rivoluzionari provenienti dalla Russia bolscevica e fatti propri dal movimento rivoluzionario dei consigli degli operai e dei soldati. Le correnti rivoluzionarie furono presto sconfitte e represse nel sangue e la Repubblica visse sulla base di una sorta di compromesso tra i socialdemocratici e i militari: questo compromesso aveva portato all’eliminazione fisica del gruppo dirigente comunista e nel quale i militari si impegnavano a difendere l’ordine del nuovo stato, governato dai socialdemocratici, purché il peso dell’esercito e della burocrazia del Secondo Reich non fossero messi in discussione.

I problemi irrisolti erano numerosi. Le pesanti condizioni imposte dai vincitori, la necessità di ricollocare il paese nella comunità internazionale su nuove basi, le difficoltà economiche e sociali, la spaventosa inflazione del 1923, le aspirazioni autoritarie di alcuni settori dell’esercito, la permanenza nei posti di potere dell’amministrazione statale, di tutti i funzionari del passato regime, la delusione di coloro che avevano sperato in soluzioni rivoluzionarie: tutto ciò mantenne a lungo precaria la situazione.
Nonostante questo, verso la metà degli anni venti la vita della Repubblica sembrava potersi stabilizzare, ma la crisi economica dei primi anni trenta destrutturò l’equilibrio scatenando una crisi di sistema che favorì l’avvento del nazismo.

Nell’intreccio con questa Grande Storia c’è il fluire dell’esperienza quotidiana della gente che spesso risulta essere tanto diversa nella percezione da non riuscire a trovar posto nel quadro che gli storici dipingono. Lo scorrere della vita di tutti i giorni non di rado crea smarrimento per la distanza che c’è tra le esperienze personali e ciò che la storiografia tramanda.

“Lo stesso 1° agosto 1934, per iniziativa dei vertici militari. veniva imposto a tutti i componenti delle forze armate un giuramento di fedeltà personale ad Adolf Hitler. Aveva inizio una nuova, breve e tragica, fase della storia tedesca.”
Con queste tre righe termina il libro di Gustavo Corni, così come termina la stessa repubblica di Weimar.

La Repubblica di Weimar sopravvive solo quindici anni. Comprenderne la complessità, la mutevolezza e la connessione degli eventi, aiuta ad acquisire uno sguardo più profondo, utile, anche e soprattutto, per far luce sul presente che stiamo vivendo.

Quali sono gli ingredienti di cui ha bisogno il nostro intuito oggi?
Per saperlo possiamo scandagliare le vicende passate, che ci porteranno a scoprire quali sono i nostri più grandi mali… e di quali medicine avremmo bisogno.

Gustavo Corni, tra i più noti e prestigiosi storici del nazismo e specialista di storia della Germania nel XX secolo, insegna Storia contemporanea all’Università di Trento. Ha scritto volumi sulla storia comparata delle dittature del Novecento, sulla storia dei due conflitti mondiali e su Adolf Hitler. Tra le sue pubblicazioni: Hitler (2007), Popoli in movimento (2009) e la cura del volume People on the move. Forced population movements in Europe in the Second World War and its aftermath (2008).  Fra le pubblicazioni più recenti: Breve storia del nazismo 1920-1945 (2015), Storia della Germania. Da Bismarck a Merkel (2017).

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