Recensione: "W le donne", parola di Riccardo Rossi

Recensione: “W le donne”, parola di Riccardo Rossi

Riccardo Rossi chiude la sua personalissima trilogia con “W le donne”, dopo “L’amore è un gambero” e “That’s Life”.  E mette subito in chiaro da che parte stia: le donne sono il simbolo della perfezione della natura, con tutte e ventitré le coppie di cromosomi X, ordinate e armoniche. L’uomo, con il suo cromosoma Y a rovinare l’equilibrio, è evidentemente uno scherzo di natura, o giù di lì.

Recensione: "W le donne", parola di Riccardo Rossi
06022018 Roma teatro Olimpico W le Donne con Riccardo Rossi

Ma è proprio l’uomo Riccardo la nostra guida nel mondo femminile, con i suoi ruoli tutti diversi. Partendo dal primo incontro della vita: l’ostetrica, colei che vediamo a testa in giù. Figura che sparirà dalla nostra vita ma della quale, seppur inconsciamente, non ci dimenticheremo mai.

E’ una figura minore, certo, ma serve all’attore romano per introdurci con ironia a ruoli ben più importanti. Prima però c’è spazio per l’infermiera, quella della sua infanzia, spesso improvvisata come può esserlo la moglie di un portiere, ma dotata di siringa in vetro, ago enorme e tutto il necessario per una efficace sterilizzazione casalinga.

La prima a scoccare una freccia nel cuore degli uomini è però la maestra: Rossi ci mostra un vecchio giudizio scolastico per aprirci al mistero di una donna capace di spronarci a crescere e talvolta di interpretarci meglio di una mamma. Un concetto enorme nel Paese dove la mamma è sovrana, ma affrontato con una sapienza tale da renderci indolore il  trauma.

Tocca poi alla sorella, colei che ci conosce di meno ed è, in fondo, solo una rivale. Del resto, scopriremo, l’amicizia tra uomo e donna è impossibile, nonostante “una donna per amico” sia un vero e proprio tormentone, per un mero fatto ormonale.

Il viaggio continua poi con la suocera, la più odiata tra le donne e con un piccolo excursus tra le donne-zavorra, una su tutte Madonna, capace di succhiar via la linfa vitale a figure come Sean Penn, Warren Beatty e Guy Ritchie.

Penultima tappa, la moglie. Concetto sconosciuto allo scapolo impenitente Riccardo Rossi, ma tuttavia affrontato con grande rispetto. A partire da Amy Krouse Rosenthal, la cui struggente lettera viene letta dall’attore nel silenzio commosso della platea. Ma non mancano riferimenti alle grandi donne presidente o alle first lady capaci di influenzare i destini del mondo con il loro pillow talk.

Infine Rossi rimedia al torto di cui sopra, riconsegnando corona e scettro alla figura materna. E parlandoci di una mamma, la sua, capace di affrontare la guerra e di uscirne forte e umile, percorrendo 35 anni di carriera come dipendente di un centralino prenotazioni di una compagnia aerea. Donna forte ma tenera, come quando rivedendo una foto in cui Riccardo indossa un più che discutibile “costume” da Zorro, non trattiene un “ma eri così carino!“.

Riccardo Rossi ci offre, con W le donne, uno spettacolo nel quale nulla è lasciato al caso, compresa una scenografia dal taglio hollywoodiano. Dietro un’apparente spontaneità si scorge una grande preparazione. Anche i toni sono vellutati, delicati. Si alternano con perfetto equilibrio i momenti comici e quelli sentimentali.
Buono il commento musicale, mai invasivo. A tale proposito, vale la pena svelare la donna che forse Rossi rispetta di più: quella Mina capace di leggere e poi gettare distrattamente nel cestino un telegramma di Paul McCartney. Rispetto, appunto, quello che Riccardo dimostra e ci lascia come messaggio nei confronti del sesso (tutt’altro che) debole.

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