Recensione: Vivere mi uccide – Quando il colore della pelle fa la differenza
Vivere mi uccide
di Paul Smail
traduzione di Lorenza Pieri
Edizioni Minimum Fax
“In ogni caso io sarò sempre un grigio per loro. Né bianco, né nero. Uno a metà”
Ė così che si sente il protagonista: uno che non ha un’appartenenza nella società ma che fa parte del limbo dei non identificabili, senza diritti civili, religiosi, ma soprattutto umani.
Insomma, nonostante un dottorato in letterature comparate, è “un emarginato” e questo solo perché è marocchino e con la pelle scura.
“Vivere mi uccide” è un racconto che va dritto al cuore come una pugnalata. Ė il racconto rabbioso di due fratelli che cercano una collocazione nel mondo spingendosi addirittura nell’universo del pugilato per difendersi dal bullismo, ma questo li trascinerà in una spirale di depravazione e di doping.
Quella di Smail, pseudonimo di Jack-Alain Lèger, è la narrazione dell’estrema discriminazione della società francese nei confronti delle persone di origine africana, ma, e questo è il paradosso, anche il rifiuto da parte dei “diversi” delle proprie origini .
Il legame che unisce i fratelli Daniel e Paul non è solo un legame di sangue ma quello di un’amicizia vera che li legherà fino alla morte di Daniel. Sarà Paul, a recarsi in Germania, a prendere le ceneri del fratello e subire l’ulteriore sopruso, fortunatamente risparmiato, di dover aprire l’urna cineraria “solo per un controllo”.
Lo stile dello scrittore, incalzante e senza tregua, é colorato da una terminologia a volte scurrile, ma necessaria e che ci fa capire ancora di più la rabbia del protagonista di fronte alle difficoltà del suo essere “diverso” e alla tragedia familiare che lo ha colpito con la morte del padre e del fratello.
Paul Smail è lo pseudonimo di Jack-Alain Lèger, è nato nel 1947 e morto suicida nel 2013. Ė è stato anche traduttore e musicista. Ha usato un infinito numero di alter ego per la pubblicazione di numerosi romanzi.