Recensione: Una donna nell’ombra - Cosa significa essere una Lombroso Recensione: Una donna nell’ombra - Cosa significa essere una Lombroso

Recensione: Una donna nell’ombra – Cosa significa essere una Lombroso

Recensione: Una donna nell’ombra - Cosa significa essere una Lombroso Recensione: Una donna nell’ombra - Cosa significa essere una LombrosoUna donna nell’ombra
Le memorie di Gina Lombroso
di Silvia Di Natale
Edizioni Clichy

Questo romanzo è un’autobiografia un po’ particolare, dato che è stato molto, amorevolmente, lavorato dalla scrittrice e sembra presentarsi come un misto fra biografia e autobiografia.

Le memorie di questo romanzo sono state tramandate di donna in donna, custodi della memoria dei Lombroso in generale e di una Lombroso in particolare: Gina. La stessa dedica della curatrice è a una donna moderna, chiedendosi se possa comprendere una personalità così distante come quella di Gina e, per tantissimi altri versi, così vicina. Gina si è sempre prodigata prima per gli altri che per sé stessa.

Gina da piccola si prendeva, volutamente (a parte una volta), le colpe delle marachelle di fratelli, sorelle e cugini, perché dal momento che non causava mai problemi, poteva addossarsi alcuni fra i tanti problemi creati dagli altri. Si sentiva un po’ la reincarnazione di una nonna di cui si ricordava appena e a cui le era stato fatto notare che somigliava parecchio, soprattutto per il carattere mite.

Aveva persino imparato a lavorare a maglia per sentirsi più vicina a lei. Soprattutto, Gina era una grande osservatrice dell’animo umano.

Mentre il celebre padre suddivideva le persone in intelligenti e non intelligenti, Gina le divideva in felici e infelici. Nella prima categoria c’era senz’altro suo padre con cui tanto si divertiva: arguto, bizzarro, stravagante, sempre curioso.

Nella seconda credeva ci potesse essere la madre che mai aveva espresso un desiderio per sé o dato a intendere cosa desiderasse, mentre erano chiari a tutti i voleri di un padre curioso di tutto ma poco attento ai desideri della moglie.

Se in famiglia le bimbe hanno studiato è stato merito della madre perché lo studio è stata una delle pochissime cose su cui si era imposta e di questo Gina le era profondamente grata perché amava studiare e amava i ritmi costanti della scuola, mentre a casa sua non c’era nulla di fisso o di prestabilito. Si usciva appena c’era un raggio di Sole e il padre li avrebbe portati fuori anche in pigiama pur di sfruttare il momento, se non fosse per l’attenzione costante e continua della madre al decoro e alle convenzioni sociali.

In questa tensione fra quella libertà che rasenta l’anarchia del padre e l’attenzione alle convenzioni sociali e alle etichette della madre, ecco che si snoda l’infanzia dei fratelli e delle sorelle Lombroso.

Ad esempio, per la madre l’amore per i parenti doveva essere dovuto, mentre per il padre i bambini erano liberi di provare affetto per chi desideravano e, per questo, potevano pure non provarne per i familiari. La famiglia è stata, tuttavia, sempre importante per Gina che si sentiva di dare ragione al padre con la testa e alla madre con il cuore.

Da attenta osservatrice Gina scrutava spesso gli umori di quei genitori così diversi, eppur complementari. Per queste motivazioni non poteva non notare come il padre si fosse spento nel trasferimento da Pavia a Torino, anche se all’epoca non poteva certo comprenderne le ragioni.

Gina si comportava da più grande anche nei confronti della sorella maggiore, Paola, più testarda e volitiva di lei. Sulle bambole Paola si era impuntata da piccola ma senza spuntarla perché per Lombroso i giochi dovevano essere essenziali e al resto doveva sopperire la fantasia dei bambini.

Era favorevole, invece, a tutti quei giochi che favorissero l’esercizio fisico.

Tutte queste teorie sui giochi e l’importanza data all’aria aperta ne hanno fatto un precursore anche nel campo della pedagogia, anche se per molti campi del sapere è ricordato e citato ma non certo per questo particolare campo che concerne l’educazione dei bambini.

Noi, i figli di Lombroso, volevamo un gran bene al nostro papà. Era un uomo eccezionale, e noi lo capivamo. Il fascino che esercitava su di noi era dovuto al fatto che ci metteva a parte di tutto quello che faceva: scriveva in mezzo a noi, lavorava in mezzo ai nostri giochi, il nostro chiasso e il nostro disordine invece di disturbarlo lo stimolavano, anzi, ogni tanto si fermava per intervenire in un litigio, oppure per chiedere il nostro parere su una questione qualunque, anche se eravamo troppo giovani per capirne qualcosa”.

Senza dubbio un uomo originale e fuori dal comune.

Anche Gina lo era sotto un’apparenza mite, comune e compiacente. Probabilmente una sua insegnante ha segnato una sorta di svolta nella sua vita quando si era impuntata su quanto Gina fosse sprecata per una scuola professionale e che dovesse andare in un liceo. Gina desiderava sin da allora la laurea in medicina anche se prese prima quella in lettere perché più confacente alle altrui aspettative che non voleva dispiacere.

Questo romanzo si legge d’un fiato, anche per le indubbie abilità da scrittrice di Gina che aveva idee originali, ma faticava a uscire dall’importante impronta e ombra del padre prima e del marito poi. L’infanzia di Gina serve a comprendere la donna Gina e le scelte che farà come sposa, madre e donna per tutto il resto della sua vita.
Queste memorie sono un piccolo tesoro al femminile e che passa da mani femminili ad altre mani femminili e, grazie a loro, sono giunte sino a noi che, probabilmente, potremo esaudire quel desiderio di Gina di riconoscerla come amica o sorella, sebbene di un altro tempo.

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