Recensione: “Un figlio” – Tragedia familiare e partiarcato in una Tunisia “di mezzo”
Una vacanza si trasforma velocemente in tragedia, quando il piccolo Aziz viene colpito da un proiettile durante un agguato nella Tunisia del 2011. Questo l’incipit di Un Figlio, il film di debutto del regista Mehdi M. Barsaoui, nei cinema da giovedì 21 aprile.
Fares (Sami Bouajila) e Meriem (Najla ben Abdallah) sono una coppia felice, hanno un figlio di dieci anni di nome Aziz e una primavera araba che porta con sé la speranza di un futuro migliore per la Tunisia. Le loro giornate trascorrono felici e spensierate, ma la tragedia, appunto, è dietro l’angolo. Sarà l’inizio di un percorso drammatico, che li costringerà a fare i conti con molti aspetti della loro vita che erano rimasti, sino a quel momento, in sottofondo, uno di quei sottotraccia fagocitati da una quotidianità serena, fantasmi pronti però a riemergere davanti a un evento traumatico e deflagrante.
Fares è un sincero progressista, così come Meriem. Non c’è traccia, nel loro quadro di famiglia felice, di quell’oscurantismo di cui talvolta è capace un certo Islam e solo i paesaggi desertici tradiscono la location del film, che altrimenti potrebbe essere ambientato in un qualunque Paese occidentale. Eppure tutto può cambiare, improvvisamente, per squarciare un velo sottile che rivela ponti impensati con il passato recente.
Quando Aziz viene portato in ospedale in condizioni critiche e, si scopre, necessita urgentemente di un trapianto, l’ordigno silente su cui è seduta la famiglia smette di ticchettare ed esplode: emergerà che Meriem porta con sé un segreto inconfessabile, che metterà in discussione il rapporto con il marito e a rischio la vita stessa del figlio. Da lì ha inizio una spirale tanto coinvolgente quanto drammatica, nella quale ci troviamo coinvolti nostro malgrado, trovandoci ben presto a partecipare a una serie frenetica di eventi, necessariamente empatici con i protagonisti.
Sono tanti i meriti che Barsaoui evidenzia in Un Figlio: innanzitutto l’intreccio fra una cultura patriarcale e l’irrompere della modernità, il conflitto tra ciò che sarebbe tecnicamente e idealmente possibile per salvare una giovane vita e ciò che risulta di fatto oggettivamente impossibile scuotono le nostre coscienze in un crescendo di interrogativi sul senso della genitorialità, sull’inattesa frattura tra la realtà della biologia e quella della biografia. E il dramma di una famiglia obbligata a decidere si inscrive in uno scenario dove alla speranza si sostituisce progressivamente la violenza e l’orrore di una indicibile mercificazione.
Obiettivi centrati, quelli del regista: il senso di angoscia non deriva solo dalla vicenda in sé, bensì dallo sguardo: paesaggi desolati, ospedali al limite della fatiscenza nei quali, nonostante vi sia un personale competente, si respirano rassegnazione, impotenza e corruzione dilagante. Un ritratto di un mondo “di mezzo” nel quale una rivoluzione incompiuta non ha risolto il conflitto tra tradizione e progresso, per nulla integrati e anzi in aperto contrasto. Salvifico, in tal senso, lo sguardo finale tra Fares e Meriem, carico di emozione e intensità, potente più delle contraddizioni.
Bravissimo Sami Bouajila, che per questo film ha vinto il premio come Migliore Attore nella sezione Orizzonti del festival di Venezia, ai César 2021 e ai Lumiere Awards 2021.