Recensione: "Tatty - Un’infanzia dublinese" - Un decennio senzo tempo Recensione: "Tatty - Un’infanzia dublinese" - Un decennio senzo tempo

Recensione: “Tatty – Un’infanzia dublinese” – Un decennio senzo tempo

Recensione: "Tatty - Un’infanzia dublinese" - Un decennio senzo tempo Recensione: "Tatty - Un’infanzia dublinese" - Un decennio senzo tempoTatty – Un’infanzia dublinese
di Christine Dwyer Hickey
Traduzione di Sabrina Campolongo
PaginaUno Edizioni

Il romanzo di Christine Dwyer Hickey, intitolato “Tatty – Un’infanzia dublinese” è la sconvolgente ma nello stesso tempo farsesca “autobiografia romanzata” della strana famiglia di Tatty, come rivela la stessa autrice nella postfazione. L’io narrante è in terza persona, ma in tutto il romanzo ci sono continui riferimenti al lettore a cui l’autrice dà del tu e in tal modo invita a diventare uno dei tanti personaggi che affollano la scena.

Storia che ha inizio nel 1964 e termina nel 1974 e dunque si svolge in un arco temporale breve, ma devastante per tutti i componenti della famiglia della protagonista, che cerca di sopravvivere, attraverso l’uso dell’immaginazione, alle circostanze catastrofiche in cui è immersa.

Un padre e una madre alcolizzati, con quattro figli che devono in gran parte cavarsela da soli fanno da sfondo a questa storia, che affronta anche il problema della diversità, in quanto fra di loro c’è “la povera Deirdre”. Di lei Tatty, alias Christine, dice ironicamente: “…è la bambina speciale che Dio ci ha mandato perché ci ama tanto e sa che può fidarsi di noi per badare a lei”.

Non mancano i riferimenti alle problematiche che affliggono da sempre bambini e ragazzi, fra cui il bullismo imperante nelle scuole, ma accanto al racconto di episodi del genere c’è anche quello riguardante l’amicizia che Tatty riesce ad instaurare, con grande fatica ma ottimi risultati, con la cosiddetta “amica del cuore”.
Si tratta di un affresco di un decennio dublinese, ma che possiamo ritrovare anche attualmente e ovunque, da leggere e rileggere perché si può senza dubbio definire questo romanzo “un classico”, secondo la definizione che dei classici dà Italo Calvino: “un classico è un libro che parla a chiunque, di ogni tempo e di ogni luogo”.
Come tutti i romanzi che si rispettino, anche dalla lettura di questo ricaviamo un importante messaggio di fondo e cioè la possibilità di uscire da situazioni tragiche attraverso l’immaginazione, che ci fa andare oltre e ci permette quindi di superarle.

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