Recensione: "Takeaway", l'ultimo di Libero De Rienzo è un film-denuncia Recensione: "Takeaway", l'ultimo di Libero De Rienzo è un film-denuncia

Recensione: “Takeaway”, l’ultimo di Libero De Rienzo è un film-denuncia

Recensione: "Takeaway", l'ultimo di Libero De Rienzo è un film-denuncia Recensione: "Takeaway", l'ultimo di Libero De Rienzo è un film-denunciaTakeaway, per la regia di Renzo Carbonera e in uscita il 20 gennaio nelle sale di tutta Italia, è l’ultimo film di Libero De Rienzo. O almeno, l’ultimo con un ruolo da coprotagonista.

Il suo personaggio, Johnny, si è rifugiato tra le cime del Terminillo (in realtà il film è girato a metà tra il reatino e il Trentino). Per fuggire a cosa, lo scopriamo presto: una radiazione a vita dallo sport per l’uso di sostanze illegali. Siamo nel 2008, agli albori della grande crisi finanziaria globale.

La nuova vita di Johnny passa anche per una compagna, Maria, molto più giovane di lui e a sua volta marciatrice, la cui famiglia lo accoglierà all’interno di un albergo-ristorante-bar di una località in cui il turismo è merce sempre più rara e la cinghia sempre più stretta. Accanto alla ragazza, come detto, ci sono il padre (interpretato da Paolo Calabresi), che vorrebbe per la figlia una carriera sportiva luminosa e la mamma (Anna Ferruzzo), più scettica in materia.

Quando Maria, interpretata da Carlotta Antonelli, dopo un infortunio, manifesterà la sua voglia di ricominciare ad allenarsi intensamente, avviene il primo twist della storia: sarà Johnny, in un iconico richiamo della foresta, a occuparsi della sua preparazione atletica e farmacologica. Cosa significherà tutto ciò è facile immaginare.

Nonostante una pletora di paesaggi incantevoli, dominati dalla neve, su Takeaway cala un’ombra che pervade tutti i 95 minuti del film, l’ombra sotto la quale si conduce una vita con il doping, sottolineata da un’ottima fotografia che indugia sui volti segnati dei protagonisti. Il lavoro di ricerca e profondità dei personaggi è evidente e la pellicola ne giova. L’ambientazione di montagna facilita l’accento sugli aspetti intimi, vero valore aggiunto di questo lavoro.

Takeaway non sbanda mai, neppure quando viene introdotto Tom, un atleta cui Johnny ha fatto da preparatore atletico e dal quale si ritiene danneggiato sia nella carriera che nella propria salute e che medita vendetta o almeno una resa dei conti Finirà per avere una relazione con Maria. Non c’è mai una svolta vittimistica, né una facile concessione al patetico. Ogni personaggio porta, semplicemente, il suo percorso e il suo vissuto. Nessuno è immune e, alla fine, nessuno si salva davvero.

Il film è molto “vero”, persino quando si mette in evidenza la peculiarità dei personaggi secondari, che mettono in campo spunti che meriterebbero persino un approfondimento. I montanari saranno pure gente semplice, ma hanno molto da raccontare, sentimenti profondi sotto il ghiaccio di paesaggi inclementi.

Proprio la semplicità degli autoctoni sarà indispensabile a far emergere l’opacità del personaggio di De Rienzo, sgarrupato come la sua vecchia Lada Niva, persino goffo nel mascherare i suoi traffici con il pusher, che a un occhio più “scafato” sarebbero palesi, ma non per chi ha il cuore puro. E pura, infine, sarà Maria, cui la Antonelli regala un’interpretazione di livello: il film non ci fa percorrere una parabola, come tradizionalmente avviene nelle storie di ascesa e caduta da doping, ma chiude in una cuspide. Un altro elemento che ci fa apprezzare questo Takeaway, un “piccolo” film con molto da dire. Dopo l’interessantissimo Resina, una conferma per Carbonera.

 

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