Recensione: Su Nexo + “Melancholia” – Antares è misteriosamente scomparsa…
Melancholia
di Lars von Trier
2011
Il film si apre con il preludio a Tristano e Isotta di Richard Wagner.
Il preludio è la chiave sonora di tutto il racconto filmico.
I violoncelli languono tormentati: il “tema del dolore” si incontra, mutando, con il “tema del desiderio”, entrambi congiunti da l’accordo di Tristano, accordo affascinante e ambiguo, difficile da definire e “afferrare”.
L’idea musicale mista di sofferenza e desiderio più volte ripetuta, si frantuma esangue finché non sfocia in una corrente trascinante: una nuova grande aria che si espande “fino a toccare l’impeto più travolgente, lo sforzo violento di trovare una breccia”. Tutto questo anelito tuttavia, è totalmente vano: “impotente il cuore torna a struggersi di desiderio, un desiderio senza meta”.
Questo eterno stato di mancanza che porta l’uomo a sospirare per un qualcosa che lo completi è vano perché, dopo l’appagamento, si torna allo stato di partenza. Allo stesso tempo spezzare questa tormentosa catena significa negare la volontà, placarsi nel sonno della morte.
La musica, onirica, accompagna il film in un prologo misterioso che è inizio e fine di una catastrofe annunciata: l’enorme pianeta Melancholia si dirige a forte velocità contro la Terra.
Dirà il regista: “Il Pianeta Melancholia è circa dieci volte più grande della Terra, e mi piaceva l’idea che Melancholia ci inghiottisse. E poi, ho letto da qualche parte che una delle virtù del romanticismo è il desiderio di purificazione che si ottiene morendo. In effetti il film contiene l’idea originale di romanticismo.”
Ed è proprio al romanticismo e alle atmosfere degli artisti inglesi di metà 800 che la ricercatezza pittorica della fotografia di Manuel Alberto Claro ispirerà le immagini del film. Quasi un medioevo idilliaco, con accenti di struggente bellezza, passione dei sensi e trasfigurazione mistica sintetizzati in una figura femminile. Una figura suggestiva che ricorda le muse di Dante Gabriele Rossetti e dei preraffaelliti.
Nel film le muse sono due, due sorelle molto diverse tra loro, esso si divide dunque in due parti e muove tutto intorno al rapporto conflittuale, ma nello stesso tempo estremamente intimo di Justine e Clear.
Una stella, Antares, è misteriosamente scomparsa. Sarà Justine ad accorgersene.
Nel mistero di questa sparizione e nella scoperta della più grande minaccia, sfociano le paure e le nevrosi delle due donne, nella scelta di rassegnarsi o ribellarsi all’idea. Il riferimento a cui sembra attingere von Trier fin dalla scelta del titolo è all’antico significato di melan-cholía, alla teoria degli umori, al suo collegamento con l’astro Saturno, identificato con lo scorrere inesorabile del tempo, e con la morte, che ha voce nel divenire di tutte le cose.
Freud, in Trauer und Melancholie, affermò che la Malinconia si manifesta in una costante attesa di una punizione vissuta come risarcimento. Un abbandono cinico, consapevole, come quello di Ofelia nell’Amleto di Shakespeare, la giovane convinta di essere causa della pazzia di Amleto si lascia morire tra le acque di un ruscello. Un’immagine che sembra prendere corpo nel film.
Dopo avere offuscato Antares, l’enorme pianeta Melancholia, si dirige minacciosamente e rapidamente verso la Terra. Claire, da sempre pilastro emotivo di Justine, inizia a soffrire di crisi d’ansia e panico, e cerca conforto proprio nella sorella. Justine con distaccata e lucida rassegnazione per la catastrofe che percepisce come inevitabile, costruisce col nipotino un rifugio fantastico, la “grotta magica”. Una capanna tenuta su da esili rami, in essa i tre, tenendosi per mano, affronteranno l’inesorabile destino.
Un film da rivedere più volte, perchè a ogni visione si compie un passo verso la consapevolezza di un continuo stato di transitorietà e di tumulto interno della condizione umana.