Recensione: Struwwelpeter. La vera storia di Pierino Porcospino – Sorrisi e castighi tremendi
Struwwelpeter.
La vera storia di Pierino Porcospino
di Stefano Bessoni
Logos Edizioni
Le fiabe, a pensarci bene, sono uno dei generi letterari più violenti.
Disseminate di inganni, seduzioni, sotterfugi e castighi feroci. Spesso il lieto fine non è previsto. Non è previsto nemmeno nelle filastrocche di Hoffman.
Quelle di Hoffmann sono dieci filastrocche che raccontano le malefatte di altrettanti bambini e bambine, primo tra tutti Pierino Porcospino. Sono bambini maleducati, disobbedienti, talvolta cattivi. Su di loro piombano castighi tremendi, persino la morte.
Sono racconti che si sviluppano su tre costanti: i protagonisti sono bambini, tutte le storie finiscono male, tutte sono raccontate con il tono lieve, giocoso, ritmato della filastrocca.
Oh, che schifo quel bambino!
È Pierino il Porcospino.
Egli ha l’unghie smisurate
Che non furon mai tagliate;
I capelli sulla testa
Gli han formata una foresta
Densa, sporca, puzzolente.
Dice a lui tutta la gente:
Oh, che schifo quel bambino!
È Pierino il Porcospino.
In tempi di pedagogia politicamente corretta in cui si storce il naso davanti alla strega di Biancaneve o al lupo di Cappuccetto Rosso, viene da chiedersi perché continui il successo e non tramonti il fascino dello Struwwelpeter, il libretto ‘educativo’ più famoso dell’Ottocento, certo fuori tempo e certo non in sintonia con ogni moderna dottrina pedagogica.
Un libretto tanto affascinante che una volta capitato tra le mani di Stefano Bessoni, lo ha sedotto irrimediabilmente. Non c’è stato più scampo per l’illustratore il cui tratto stilistico sposa magnificamente il “tono” delle filastrocche. Le sue immagini profumano di grottesco e cadaveri sepolti in terreni brulicanti, ossa, crani e buffe proporzioni.
E se la domanda è il perché di tanto potere seduttivo, la risposta è proprio nell’enunciazione della domanda. Il fascino di Pierino Porcospino nel libro illustrato dal Bessoni si moltiplica e risiede nell’ambiguità delle immagini, nell’enormità iperbolica delle punizioni, nella ‘crudeltà’ ghignante dei personaggi, nel piacere morboso di quanto accade nella pagina e, nella “storia delle storie” che l’autore sapientemente tesse tra disegni, filastrocche e Hoffmann stesso.
Bessoni infatti, non solo illustra, ma racconta anche la storia di questa raccolta di filastrocche che il dottor Heinrich Hoffmann, tedesco di Francoforte, fece stampare in un libretto nel 1845.
Nate per insegnare l’educazione ai bambini maleducati e soptrattutto a suo figlio Carl, sono un monito per l’assunzione di responsabilità senza se e senza ma, dunque!
Occhio bambini, che a non mangiare la minestrina si rischia di morir consunti e a giocare con i fiammiferi si può bruciare vivi. Per non dire la cosa tremenda che può accadere a chi ha il vizio di succhiarsi il pollice.
Dice la mamma: «Mio buon Corrado,
Per pochi istanti io me ne vado,
Vo’ che tu sia studioso e buono,
Non far disordine, non far frastuono.
E guai se il pollice succhiar vorrai!
In modo orribile ten pentirai.
Tu non l’aspetti, ma, di soppiatto,
Entrerà il sarto tutto ad un tratto,
Taglierà il pollice col forbicione,
Come se panno fosse o cartone».
Resta la domanda: fanno bene ai bambini (e a noi grandi) le storie che vanno a finir male, quelle dove il lieto fine è bandito? A sfogliare queste pagine illustrate che sanno allegramente di disfacimento, parrebbe proprio di sì. Perché non c’è nulla di più potente, che ci spinge a interrogarci, a cercare una scappatoia, a sperare di capovolgere i destini, di una storia che finisce male raccontata con ironia.
Sarà meno consolatoria ma colpisce e fa pensare di più.
Soprattutto ciascuno può pensare a queste storie con la propria testa, come Stefano Bessoni le ha pensate con la propria meravigliosa matita!
https://www.stefanobessoni.com/pierino-porcospino