Recensione: “Spaghetti alla Martino”, attraverso il regista, un viaggio nel cinema italiano “di genere”
I poliziotteschi italiani rivaleggiavano sul mercato dei diritti cinematografici con i ben più rinomati polizieschi di Hollywood e nei thriller tricolori non mancava mai una vena erotica.
Sono due delle scoperte che si fanno vedendo Spaghetti alla Martino, film documentario di Daniele Ceccarini e Francesco Tassara dedicato a Sergio Martino, uno dei pochi registi del cinema italiano ad aver attraversato con eleganza e versatilità quasi tutti i generi cinematografici (le biografie parlano di 66 regie, 44 sceneggiature, 5 film da direttore di produzione) e che ha raggiunto l’apice della sua produzione artistica tra i fortunati anni Settanta e Ottanta, periodo d’oro del cinema italiano, rivolgendosi sempre ad un pubblico popolare con numerosi film diventati oggi cult; un regista un tempo snobbato dalla critica nazionale ma amatissimo dal pubblico e dai registi “stranieri” di oggi, funamboli del cinema postmoderno che attraversa i generi, in particolare Tarantino.
Giallo, avventura e commedia sono i principali macro-filoni che caratterizzano la sua ampia carriera costellata da titoli cult come i thriller Lo strano vizio della signora Wardh (1971), Tutti i colori del buio (1972), I corpi presentano tracce di violenza carnale (1973), la commedia Giovannona coscialunga disonorata con onore con una giovanissima Edwige Fenech; L’allenatore nel pallone (1984), Occhio malocchio prezzemolo e finocchio (1983) con Lino Banfi; il post-atomico 2019: dopo la caduta di New York (1983), fino all’azione e alla fantascienza con Vendetta dal futuro (1986), passando per western come Mannaja (1977), polizieschi come Milano trema: la polizia vuole giustizia (1973), noir come La città gioca d’azzardo, (1975), avventura e cannibalico con la “trilogia della giungla” composta da La montagna del Dio cannibale (1978), L’isola degli uomini pesce (1979) e Il fiume del grande caimano (1979), fino al periodo televisivo, dimostrando una repentina capacità di adattamento a generi e contesti molto diversi.
Il documentario racconta la sua carriera storicizzando la filmografia, una stagione unica, quando il cinema di genere italiano era una grande industria, la seconda dell’occidente dopo quella americana. Attraverso i racconti diretti del regista e il contributo di attori, amici e collaboratori, vengono accostati ricordi di lavoro e di vita proponendo una panoramica inedita su di un eccezionale ed elegante autore. Oltre alla testimonianza del regista Sergio Martino anche numerosi amici, attori e collaboratori partecipano al film: Lino Banfi, Pippo Franco, Milena Vukotic, Barbara Bouchet, Dario Vergassola, Martine Brochard, Hal Yamanouchy, lo scenografo Massimo Antonello Gelen
g, il critico Davide Pulici di Nocturno, il saggista Claudio Bartolini, il montatore Eugenio Alabiso, lo sceneggiatore Ernesto Gastaldi e il critico Marco Giusti.
La mano dei registi, sebbene discreta come si conviene in un documentario, è ferma e sicura, lasciando spazio ai protagonisti e valorizzandone le testimonianze grazie a un montaggio azzeccato ma mai invadente. Molte sono le “perle” contenute nei 60 minuti di Spaghetti alla Martino, che permettono anche ai cultori del regista di non annoiarsi, ma anzi di riscoprire un grande professionista che ha saputo interpretare, senza snaturarsi, il gusto popolare.
Resta l’amaro in bocca di constatare, ascoltando le voci dei professionisti che hanno lavorato con Sergio Martino, quanti passi indietro abbia fatto il cinema italiano negli anni successivi, sia dal lato artistico che da quello tecnico.
Una nota personale: imperdibile per chi, come me, è un fan de L’allenatore nel pallone, il racconto di Lino Banfi sulla genesi del film.