Recensione: “Sotto il cielo del mondo” – …a sbarcare e salpare diventi un uomo di proprietà del mare
Sotto il cielo del mondo
di Flavio Stroppini,
edizioni GCE.
Libero: ci può essere nome più odioso per un padre?
Se lo chiede Alvaro e per non darsi una risposta taglia tutti i fili che portano al suo cuore. Si chiude in quella anaffettività che è un urlo disperato sigillato nel silenzio. Libero, suo padre, è poco più di un fantasma, una entità inafferrabile racchiusa nei contorni di una cartolina che arriva puntuale a ricordargli che suo padre c’è, respira in qualche parte del mondo, in qualche paese esotico e bellissimo, ma inesorabilmente lontano da lui.
Una cartolina, poche parole, un saluto. Una cartolina che il padre continua ad indirizzare senza logica al fantasma della moglie, morta mentre Alvaro veniva al mondo.
E in questo mondo Alvaro prova a vivere una vita tranquilla, arroccato nel suo paesino di montagna, una vita iniziata con la perdita della madre e il padre lontano, in chissà quale porto. Il quotidiano diventa il suo orizzonte. Ma a volte scrutando disilluso quell’orizzonte puoi vedere una mucca volare e muggire galleggiando nel cielo, e allora la quieta montagna dimena i suoi fianchi e ti dà uno scossone. E se è vero che il senno continua a ripeterti che il quadrupede era sollevato da un elicottero arrivato in suo soccorso, nel tuo sguardo resta impressa forte quell’immagine fantastica che scardina ogni tua certezza.
Il mondo di Alvaro dunque non è imperturbabile. Non lo sarà neppure quando un giorno, beffardamente, il padre busserà alla porta della zia che lo ha cresciuto, per poi sparire di nuovo nel nulla. Riempire il vuoto lasciato da questa non-presenza è una sfida quotidiana.
Uscire vittoriosi da questa sfida non è semplice. La via più breve è chiudersi nel proprio guscio. Fino a quando arriva la notizia della presunta morte del padre, e questo guscio esplode.
Con esso esplode il racconto che cambia registro e assume una nuova fascinazione, quasi mistica. Alvaro spinto da un istinto ancestrale, si mette alla ricerca della vera identità di suo padre, passando in rassegna tutto un corredo di enigmatici indizi, arcaiche visioni, sogni premonitori, una strana nave chiusa in una stanza e le strofe in rima di una misteriosa canzone.
La canzone di Libero:
“C’era una volta la storia di un uomo che non sapeva proprio dove andare sbarcava e salpava senza pensare che il mare è sia cattivo che buono. Come riusciva a dormire nella tempesta? Chiudeva gli occhi e sognava un amore sognava ogni porto, ogni sua festa dormiva sereno con la pace nel cuore.”
Una canzone che “Parlava anche di tempeste, montagne e di come si diventa proprietà del mare”.
Il libro diviene il viaggio tra terraferma e mare di un uomo senza radici, costretto a variare continuamente confini per ritrovare le tracce di suo padre e la sua identità. La narrazione assume le sembianze di una ballata, ogni capitolo inizia con le stesse parole, come il rincorrersi di un ritornello che si ripete uguale e differente ogni volta:
“il giorno diventò il giorno dopo…dormii sognando di dormire in un comodo letto…poi bevvi un tè e pensai ai cibi dai sapori sconosciuti che avrei incontrato.”
I sapori sono quelli di Gdansk in Polonia, di Bangkok, di Istanbul e d’Irlanda, di Lekeitio, nei Paesi Baschi, di Tunisi, di Gujarat, nel Nord dell’India. Di mare in mare Alvaro incontra personaggi suggestivi e talvolta inquietanti, tutti legati in qualche modo a suo padre.
Ricostruisce così la storia di un uomo con cui inizia a sviluppare, ora che lo crede morto, un rapporto leale e sincero, pur tenendo sempre vivo il dolore determinato dalla separazione.
Ogni tassello del viaggio si trasforma in una situazione comunicativa col passato, funzionale alla ricerca del sé di Alvaro, e allo sviluppo della sua autonomia non più solamente nelle vesti di figlio abbandonato, ma finalmente nei panni di “persona”. Ogni tassello del viaggio ricostruisce un pezzetto di storia di quella misteriosa nave alla cui meticolosa costruzione era intento Libero prima di svanire.
Sarà proprio vagando sotto il cielo del mondo che le situazioni di conflitto tra padre e figlio tenderanno a scemare, interrotte quando il padre lo riterrà opportuno per giungere, con un finale a sorpresa, a un confronto col passato più maturo. Come si suol dire, “da uomo a uomo“.
Anche e soprattutto nella percezione che Alvaro avrà finalmente di sé stesso come tale.
E come tale, come uomo, interromperà una eredità di dolore, riuscendo a divenire padre a sua volta. Un padre presente e amorevole, che per tutto il tempo del romanzo non fa altro che raccontare la propria favola a sua figlia.
“Che dirti figlia mia? Sotto il cielo del mondo costruiamo quelle che saranno le nostre rovine. Sotto il cielo del mondo sogniamo quelle che saranno le nostre avventure”.
La nave di Libero può essere finalmente distrutta e mai più salperà dal porto dell’amore, “che a continuare a sbarcare e salpare diventi un uomo di proprietà del mare”.
L’autore Flavio Stroppini attraverso le varie fasi del viaggio di Alvaro, ci obbliga a indagare sulla nostra psicologia. Nel confronto tra le pagine con realtà e mondi così differenti, siamo costretti a porci domande: quanto di me è veramente mio? Quanto di ciò che sono è il risultato della vita che ho vissuto? Se fossi nato altrove, chi sarei, cosa penserei, in cosa avrei fede?
Stroppini porta all’estremo il processo di introspezione, chiedendo alle corde più profonde dell’essere di venire in superficie. Il lettore diviene viaggiatore, prende distanza da alcune parti di sé, alcune certezze, e si avvicina ad altre, più autentiche e inaspettate.
Giunti all’ultima pagina saremo un pò cambiati e avremo avuto in regalo nuovi strumenti con i quali percepire noi stessi.