Recensione: “Solo” – Inno alla solitudine
Il romanzo di August Strindberg, edito da Carbonio, come si può evincere dal titolo, ruota intorno alla parola “solo” e per certi versi può essere considerato un inno alla solitudine, una condizione che permette di “farsi crisalide e attendere la metamorfosi”, di morire e poi risorgere.
Appartarsi e dedicare il proprio tempo alla scrittura è un altro dei motivi che fa prediligere lo stare da soli, perché permette di vivere le “molte vite dei vari personaggi”, lo stesso effetto che Umberto Eco attribuisce alla lettura.
L’isolamento è però percepito in maniera duplice: una scelta, ma al tempo stesso una condanna. Tale continua dicotomia rende accattivante la lettura di questo romanzo, forse autobiografico, in cui viene continuamente ribadito che pirandellianamente niente è come sembra e i personaggi, compreso l’io narrante, sono tutti descritti nell’atto di recitare una parte.
In tutto il romanzo si alternano riflessione ironica e azione, il tutto proprio secondo un copione teatrale, dal momento che l’autore non è soltanto romanziere ma anche drammaturgo, oltre che poeta.
Strindberg scrisse questo libro agli inizi del secolo scorso, ma, come tutti i capolavori che si rispettino, temi trattati e situazioni descritte sono senza tempo e perciò quanto mai attuali, una fra tutte la descrizione di una società sempre più presa dal demone dell’apparenza, che nel nostro mondo dei social è aumentata a dismisura.