Recensione: “Security”, da domani su Sky e NOW. Quale è il prezzo della sicurezza?
Uno dei sentimenti umani più potenti è la paura. La paura, istinto ancestrale, ci protegge dai pericoli, siano essi derivanti dai predatori o semplicemente da un rischio inutile.
Il rovescio della medaglia, però, è che la paura possa dominarci, diventando così preponderante da alterare la nostra percezione della realtà stessa.
Security, lungometraggio Sky Original in onda da domani, lunedì 7 giugno, su Sky Cinema e sulla piattaforma NOW, si svolge in una Forte dei Marmi semideserta con il sopraggiungere dell’inverno. Le Alpi Apuane, che durante la stagione turistica mostravano il colore del marmo, si velano di bianco per il sopraggiungere della neve. Rimangono nella località alcuni residenti e soprattutto gli addetti alla sicurezza, come il protagonista Roberto Santini, ben interpretato da Marco D’Amore.
Sarà proprio Roberto a doversi far carico, insieme alle forze dell’ordine, di un caso scottante: l’aggressione di una giovanissima, Maria Spezi, ad opera di ignoti. La ragazza vagherà, suonando tutti i campanelli del vicinato, in cerca d’aiuto, inutilmente. Come ovvio, qualcuno invece sta guardando le telecamere del proprio videocitofono e avvisa la sicurezza, incolpando il più facile dei colpevoli, ovvero gli extracomunitari.
Il primo panorama che ci appare davanti agli occhi è quello ottimamente sottolineato dalla fotografia di Mauro Fiore, vincitore del Premio Oscar nel 2010 per Avatar: case-fortezza, circondate da alte ringhiere, infarcite di telecamere con relativo sistema di vigilanza, rigorosamente privata. Pian piano, però, si delinea il panorama umano, forse ancor più inquietante. Intorno a Roberto, infatti, ruota una comunità spaventata, miope fino quasi a essere cieca, dalla moglie Claudia (Maya Sansa, buona interpretazione ma inutile e dannoso tentativo di parlare con accento toscano) all’imprenditore Pilati, interpretato da un Fabrizio Bentivoglio in buono stato di forma. In mezzo tanti adolescenti e un professore molto ambiguo e immaturo, interpretato da Silvio Muccino.
La paura, dicevamo, rende ciechi, al punto da costruire letteralmente dal nulla la colpevolezza per un reato grave e odioso per il povero Walter Spezi, artigiano dall’anima tormentata. Contemporaneamente, però, essa costituisce utile alibi per le nostre parti più intime, deboli e deprecabili.
Sin dall’inizio, infatti, la danza è sul filo del voyeurismo, sia esso a fin di bene che rivolto invece ad attenzioni perverse. La telecamera, occhio attento, onnipresente e più di qualche volta indiscreto, cattura insistentemente per tutti i 114 minuti del film i momenti salienti: tutti i punti di svolta di Security sono infatti sulle spalle dell’immagine registrata e perfino il gran finale sarà nel metaschermo dei sistemi di sorveglianza.
Dietro la forte, pressante domanda di sicurezza, che sarà prontamente cavalcata da Claudia per la propria campagna di candidatura a sindaco, ci sono fragilità, debolezze, alibi. Del resto è più facile proteggersi (o credere di farlo) da un fantomatico nemico esterno piuttosto che ammettere che è dentro la nostra comunità, o persino dentro noi stessi, che si annida il mostro.
Security, ben diretto da un regista d’esperienza come Peter Chelsom (Serendipity, Shall We Dance?, Hannah Montana) e ispirato all’omonimo romanzo di Stephen Amidon (pubblicato in Italia da Mondadori), sceglie un registro leggero, adatto al pubblico televisivo e un ritmo sufficientemente blando da permettere anche qualche distrazione, ma non perde di vista il messaggio, che arriva forte e chiaro, né la capacità di colpire le corde più intime e sensibili dello spettatore. Neppure una sceneggiatura un po’ “telefonata”, infatti, toglie smalto a un film che vale la pena vedere.