Recensione: “Sanremo” – Innamorarsi ogni giorno
Dagli appunti del regista:
“Alcuni anni fa, quando mio zio era ancora vivo, andavo spesso a trovarlo nella casa di riposo che lo ospitava. Non era demente, ma comunque faceva difficoltà a ricordare i fatti più recenti. Se per contro gli ricordavo qualcosa del passato, mi raccontava di eventi accaduti venti o addirittura trent’anni prima con tanto di dettagli. Nella sua stessa stanza, il letto accanto era occupato da un altro vecchietto in stato di incoscienza. Mi sono commosso per l’impotenza di quelle persone, per i loro sporadici sorrisi e per l’infantilità con cui percepivano le cose, nonché per la loro vulnerabilità ed empatia.
Quindi ho immaginato un’eventuale storia d’amore tra un’anziana signora e per esempio mio zio. In alcuni momenti avrebbero potuto chiacchierare senza alcun problema, ma subito dopo perdere tutte le energie l’uno per l’altra, o interrompere la comunicazione per un improvviso dolore o semplicemente per dimenticanza”.
Esce in sala dal 23 giugno il film d’autore sloveno che narra la storia d’amore dolce-amara tra due persone affette da Alzheimer, Sanremo. Scritto e diretto da Miroslav Mandić, il film fa i conti con la perdita di memoria, le emozioni istintive e lo stupore infantile dettato da una condizione di assopimento dalla realtà e dal passato, un mondo in cui l’età non conta in rapporto ai sentimenti e in cui il primo incontro con l’amore, nella sua casualità, innocenza e impressione sensitiva, può ripetersi all’infinito.
La persona con difficoltà di memoria può continuare a vivere una vita piena di significato, la malattia non ti toglie dalla vita. C’è ancora tanto da fare. Nel raccontare questo “fare” delicato, a volte ingrato, quasi sempre incompreso, il film sembra scrostare una vecchia parete per ritrovare i colori originari. “La malattia non ti toglie dalla vita”, non è un modo di dire, uno slogan, una coperta di buoni propositi buttata lì per nascondere i bisogni e la carenza di informazione e sguardi adeguati. La vita prosegue con le sue innumerevoli sfumature e alla vita non importa quanti anni tu abbia o cosa tu possa ricordare. Si insinua e scava e sublima o illumina, oppure ti schiaccia nelle ombre di improvvise delusioni. Ma poi ti fa ridere di nuovo e ti sorprende all’ascolto di una vecchia canzone che a te sembra sentire per la prima volta.
“Non ho l’età, non ho l’età per amarti…”
Ma poi quale è la giusta età per amare? Così la storia d’amore di Bruno e Duša, ospiti di una casa di riposo, inizia e finisce ogni giorno. Si innamorano al mattino e dimenticano l’uno dell’altra ogni sera. Non per questo i loro sentimenti sono meno intensi. Anche se ognuno sembra viverli per conto suo, proprio come nella bellissima locandina del film, vicini, ma ognuno propiettato verso un proprio orizzonte, una propria visione.
I fotogrammi e i minuti scorrono davanti ai nostri occhi, ricordi, pensieri piacevoli, vuoti di memoria, spesso in un silenzio assoluto, oppure accompagnati da un’intensa colonna sonora.
Nella camminata incerta di Bruno ritroviamo tutte le nostre debolezze, tutte le nostre paure. La sua fuga per ritornare al passato, ai brandelli di memoria che rinnovano a tratti i suoi dolori, la ricerca della moglie e del suo cane da sfamare, sono una fonte di disagio significativo per lo spettatore che vorrebbe immaginare un sereno svolgersi del tempo. Ma il tempo si accartoccia e si dilata in spirali non armoniche ma deformi. Qui, ora, o cinquant’anni prima, poco importa, irritabilità, irrequietezza, sentimenti di perdita, inutilità e disperazione, fanno male comunque. Perchè la vecchiaia non esiste per chi non ha memoria, la percezione di un sè più fragile non esiste, esiste solo l’accumulo di sensazioni di inadeguatezza.
…e continui arcobaleni improvvisi, perchè le nubi, come il sole si susseguono senza sosta… e la vita si riprende i suoi spazi, uno a uno.
“…lascia che io viva un amore romantico, nell’attesa che venga quel giorno…”
Così una canzone ti riporta a quel preciso momento in cui ti sei emozionato e commosso durante un vecchio festival di Sanremo e ti sei fermato a guardare l’esile cantante, e il suo abito e i suoi capelli.
Ancora il regista ricorda:
“Quando ero bambino, la mia famiglia e le famiglie del circondario amavano riunirsi davanti alla televisione durante il Festival di Sanremo. In particolare, mio padre era follemente innamorato di Gigliola Cinquetti e ricordo perfettamente quando cantò la canzone “Non ho l’età”: mio padre la guardava con un’ammirazione e una devozione incredibili. Per questo motivo ho voluto dedicare una scena ricordando proprio quella performance con le stesse parole usate da mio padre nel1964″.
Autobiografico nel sentire e nel ricordo, il film sembra un invito a lasciar andare il tempo, a ricordare che si diventa vecchi solo quando si smette di essere felici, o di soffrire.