Recensione: “Printed in Beirut” – Il taccuino rosso dello scrittore
Printed in Beirut
di Jabbour Douaihy
Francesco Brioschi Editore
L’aspirante autore Farid Abu Shaar è l’eroe di “Printed in Beirut”, una bizzarra storia di mistero e arguzia all’interno dell’industria editoriale di Beirut, dello scrittore libanese Douaihy. Nelle prime pagine, il protagonista subisce una serie di brutali ma alquanto comici rifiuti faccia a faccia per “The Book to Come”, il suo manoscritto, contenuto in un taccuino rosso, di cui non si conosce l’argomento. Dopo vari tentativi andati a vuoto, Farid chiama Karam Brothers Press, ma anche il suo proprietario, Abdallah Karam, rifiuta il libro, offrendogli, però, un lavoro come correttore di bozze, che lo scrittore accetta.
Alla Karam Brothers Press, Farid si ritrova nel punto di riferimento letterario di tutta Beirut, completamente inconsapevole della storia che si cela sotto i suoi piedi.
Il protagonista si immerge in un mondo che odora di inchiostro, vegliato da una fotografia in bianco e nero del fondatore, Fuad Karam. Conosce il partner di Al-Halwany che ha contribuito a fondare l’azienda, ma non riesce a capirne la profondità della devozione alla stampa.
Incontra anche Persefone Melki, moglie di Abdallah, bella e molto distaccata, che rimane affascinata da Farid e dal taccuino che tiene sempre con sé. Quando Farid lo dimentica solo una volta, Persefone lo trova e ne fa stampare una copia su carta costosa, che viene lasciata sulla scrivania di Farid senza alcuna spiegazione.
Lui si accorge che la carta è la stessa usata per falsificare banconote da 20 euro, e viene coinvolto in un’indagine di polizia che farà emergere una rete di crimini e inganni.
Douaihy esplora il panorama della stampa di Beirut attraverso gli occhi di Farid, il quale prende sé stesso e il lavoro di scrittore troppo sul serio, mentre tenta di trovare la propria strada, districandosi nella realtà delle case editrici.
Attraverso l’intreccio dei destini di Persefone e Farid, guidati come fosse una bussola, dal taccuino del protagonista, il romanziere ci mostra l’impetuosa storia recente del Libano con passaggi brevi e significativi.
La stessa casa editrice viene descritta come una sopravvissuta alla carestia, ai bombardamenti delle navi da guerra, alle guerre civili, agli attacchi aerei e alle rivolte, nonostante il caos della Seconda Guerra Mondiale.
Ed è attraverso l’arguto ritratto dei personaggi e la storia labirintica dell’editoria di libri che il lettore si ritrova felicemente immerso nella società e nella storia di Beirut.
La genialità dello scrittore libanese assume la forma dei suoi personaggi, nei loro destini imprevisti e nel modo in cui seguono i percorsi già tracciati per loro.
Il loro umorismo generazionale e la comicità inevitabile, sono evidenti mentre l’autore sposta la sua storia dall’inizio del ventesimo secolo ai giorni nostri, ricordando il passato storico del Libano, la sua multiculturalità, la diversità etnica e le turbolenze politiche.