Recensione: “Per una morale contemporanea . Critica della moda pura”
“Per una morale contemporanea .
Critica della moda pura”
di Alberto Fabio Ambrosio
Mimesis Edizioni
Alberto Fabio Ambrosio (1971) è un teologo domenicano, ricercatore e docente di Teologia e Storia delle Religioni. Il suo curriculum scientifico è molto particolare e degno di essere segnalato. Per oltre venti anni si è dedicato allo studio del sufismo islamico ottomano, con particolare attenzione a quella forma di misticismo attivo praticata dai Dervisci Rotanti. Da cinque anni a questa parte, i suoi studi sono rivolti alla moda e alle sue interazioni con la morale e con la religione. Non a caso ho accostato i due campi di studio affrontati in successione dal teologo Ambrosio: nel sufismo islamico, e in particolare nel misticismo dei Dervisci Rotanti, la veste ha un ruolo ben individuato e di primo piano.
Nel corso della sua quinquennale ricerca scientifica sul ruolo sociale del vestito e sulle relazioni tra moda, società e religione, padre Ambrosio ha già pubblicato (sempre con Mimesis Edizioni) tre volumi in materia: “Dio tre volte sarto. Moda, Chiesa e teologia” (2020), “Moda e religioni. Vestire il sacro, sacralizzare il look” (2022) e “Il Vangelo delle vanità. Moda e spirito” (2023).
Il saggio che qui si commenta rappresenta, dunque, il completamento di una quadrilogia sullo specifico tema del rapporto tra moda e religione? Non è dato saperlo. Quel che sembra certo, però, è che con “Per una morale contemporanea. Critica della moda pura” – e come rivela lo stesso titolo, che strizza l’occhio alla kantiana Critica della ragione pura – il nostro autore ha inteso affrontare filosoficamente il concetto stesso della moda, la moda pura, così come la porge alla nostra osservazione la società contemporanea.
“La moda, oggi più che mai, costituisce un problema”, osserva l’autore nella presentazione del saggio. E, per sgombrare subito il campo da facili equivoci, chiarisce che il problema oggi non riguarda tanto quegli aspetti moraleggianti legati al pudore. Non si tratta, cioè, di ricordare che il vestito deve coprire le cosiddette “vergogne”, anziché indecentemente svelarle. Si tratta, piuttosto, di denunciare e affrontare questioni ben più indecenti: quelle delle ingiustizie sociali prodotte dalla moda, dello sfruttamento dei lavoratori, dei danni ambientali prodotti a livello industriale.
E non a caso, dichiara apertamente Alberto Fabio Ambrosio nella presentazione, il saggio è stato diviso sistematicamente in sette capitoli: “Sette come i sette peccati capitali, che sono quelli della moda oggi”.
Non ho letto i tre saggi che precedono questo lavoro e che ho citato sopra. Posso quindi solo constatare, o meglio immaginare, che i titoli (estremamente intriganti) rimandino a una complessiva trattazione della materia in maniera fortemente metaforica, dove i due sistemi – quello della Moda e quello delle Religioni – obbligano ad accostamenti che finiscono per diventare studio comparativo.
Quel che è certo, quel che si ricava dalla lettura del suo quarto saggio sulla materia, è che nella sua Critica della moda pura Alberto Fabio Ambrosio affronta la questione moda con un vero e proprio attacco frontale, impugnando le armi della morale e dell’etica e non facendo alcuno sconto, non riconoscendo la sia pur minima attenuante, ai sette peccati capitali della Moda.
Perché la Moda rappresenta, per così dire, il sistema moralmente e socialmente più penetrante di manipolazione dell’uomo contemporaneo. E questo perché? Perché la Moda detiene un primato “che nessun altro ambito può esibire: la moda si indossa”. A differenza di tutti gli altri prodotti del “mercato delle apparenze sociali ed estetiche”, il prodotto abbigliamento ha questa caratteristica che lo rende unico e gli conferisce il primato su tutto il resto: “il vestito è sempre con noi, è su di noi, perché indossato”.
Mi spingo a dire che, nel suo ambizioso e radicale saggio, il domenicano Alberto Fabio Ambrosio affronta i sette vizi capitali della moda con la forza e la virulenza di un suo lontano illustre predecessore, appartenente al medesimo ordine domenicano: Girolamo Savonarola.
Ambrosio non circoscrive i suoi strali – del tutto condivisibili – alle ingiustizie sociali (sfruttamento del lavoro) e ai danni ambientali (materie prime, metodi di lavorazione) di cui il settore dell’abbigliamento è indubbiamente e gravemente responsabile. Ambrosio ne ha per tutti, produttori e consumatori, stilisti e pubblicitari, non risparmia niente e nessuno: moda e consumo di abbigliamento come “orgia comunitaria”; culto idolatrico dell’estetica;
assuefazione-alienazione da consumismo ostentato; consumismo come demone che gestisce il mondo della moda contemporanea; ricerca erotizzata del capo di abbigliamento e consumo come possesso erotico; la vergogna sociale come molla all’acquisto e al consumo (clienti = fashion victims); frequentatori dei centri commerciali vittime di un “attutimento sensitivo causato dall’ambiente circostante”.
Se alcuni di questi strali, veementemente scagliati a trecentosessanta gradi, possono essere accolti con qualche dubbio (se non irritazione) da almeno una parte dei destinatari – e più esattamente da chi (anche per risparmiare) acquista i propri capi d’abbigliamento nei centri commerciali o addirittura, e senza alcuna vergogna sociale, nelle bancarelle dei mercati, frugando tra montagne di indumenti usati “tutto a € 3” -, altrettanti dubbi possono incontrare i rimedi che Ambrosio propone alla fine del saggio per edificare, o almeno tentare di edificare, una moda veramente etica.
Per meglio dire: le riflessioni filosofiche degli ultimi capitoli, dedicate a delineare una moda etica e responsabile, dopo tutto quel po’ po’ di contumelie gettate sulla testa di tutti i protagonisti, attivi e passivi, del settore, rischiano a mio vedere di restare nel limbo di semplici spunti, poco o per niente sviluppati. Ambrosio invoca la necessità di un massimalismo utopico quale corredo filosofico della moda etica, che le faccia assumere i caratteri di una militanza sociale e alla quale faccia da corollario, a livello di comportamento dei singoli, un “guardaroba etico minimalista”.
L’autore si spinge a considerare possibili e auspicabili non solo gli “esercizi spirituali” del riciclo, del rammendo, delle riparazioni, ma addirittura una nuova idea di indumento- non indumento, che definisce con un neologismo: l’undumento.
“Mettere al centro il desiderio di un vestito che non esiste ancora, del non indumento, dell’undumento, che sarà la nuova uniforme etica della moda, è un potente meccanismo di resistenza al flusso inarrestabile del sistema industriale e finanziario della Moda”.
Personalmente, attenderò che nel prossimo libro in materia, Alberto Fabio Ambrosio spieghi quali possano essere le caratteristiche dell’undumento e come questo possa fermare la marcia amorale e distruttiva del sistema Moda. Nel frattempo, confesso che non vedo come io possa sottrarmi alle lusinghe dei centri commerciali per dotarmi quanto meno della biancheria intima indispensabile a una corretta cura del mio corpo.