Recensione: “Pavarotti”, l’incredibile storia di un grande artista che non ha mai smesso di essere uomo
Nei cinema solo il 28-29-30 ottobre
Il pluripremiato team di film-maker che ha realizzato The Beatles: Eight Days a Week – The Touring Years passa ad occuparsi di un altro fenomeno musicale con PAVAROTTI, un racconto approfondito che non tralascia nulla della vita, della carriera e del lascito ininterrotto di questa icona musicale.
Soprannominato “il tenore del popolo”, Pavarotti rappresentava una rara combinazione di personalità, genio e celebrità e utilizzava le sue doti prodigiose per diffondere l’opera come spettacolo capace di essere apprezzato da tutti gli amanti della musica. Grazie alla forza del suo talento, Pavarotti ha dominato i più importanti palchi del mondo, conquistando il cuore del pubblico. Questo spaccato di vita di un uomo eccezionale e di un gigante della musica, diretto dal vincitore di Academy Award Ron Howard, contiene rare interviste a familiari e colleghi, materiale video inedito e un avanzatissimo audio Dolby Atmos.
Aveva una delle voci più spettacolari e uno dei cuori più espressivi della storia umana ma, nel documentario di Ron Howard, lo straordinario Luciano Pavarotti viene mostrato come mai prima d’ora: in un primo piano di incantevole intimità, scavando in profondità, al di là della gloria della sua musica e della forza del suo carisma, per metterne in luce le battaglie nella vita privata, il suo senso dell’umorismo e le sue speranze. Rimandando ai temi universali che hanno mantenuto viva l’opera per tutto il XXI secolo – amore, passione, gioia, famiglia, perdita, rischio, bellezza – il film tesse il racconto di un uomo che scopre, si confronta e finisce per imparare a domare l’enormità monumentale delle proprie doti.
La voce dalle tonalità preziose di Pavarotti parla da sé. Ma qui Howard si ripropone di rivelare l’uomo, imbattendosi incessantemente in un affascinante essere umano fatto di contrasti — che combina una leggerezza infantile a un’anima profonda, una forte lealtà nei confronti dell’educazione contadina e quell’enigmatico non so che grazie a cui solo alcuni raggiungono i confini di quanto umanamente possibile.
Pavarotti è il terzo di una serie di documentari che Howard ha diretto, esplorando grandi stelle della musica — sulla scia del pluripremiato The Beatles: Eight Days a Week – The Touring Years e Made In America, che ha percorso, unico nel suo genere, il backstage del festival musicale di Jay-Z. La più grande stella dell’opera del mondo moderno potrebbe sembrare un soggetto meno consono per il regista vincitore di Oscar. Certo, Howard aveva brevemente incontrato Pavarotti molto tempo prima e ne era rimasto affascinato. Chi non sarebbe attratto da un vulcano creativo che si è ritagliato un posto unico nella storia come la “rock star” dei cantanti lirici, un gigante che ha ridotto le distanze tra cultura artistica “alta” e cultura popolare, come se i confini tra le due fossero pura illusione? Ma Howard non era esattamente un esperto di opera lirica.
Eppure, proprio per questo, Howard ne è rimasto tanto affascinato. Quando Nigel Sinclair, con cui Howard ha precedentemente lavorato a The Beatles: Eight Days a Week e Rush, gli accenna che Decca Records sta cercando un film-maker in grado di far risaltare l’essenza della vita e della musica di Pavarotti in un documentario di ampio respiro, Howard sente lo stimolo a saperne di più. Tuffandosi in ricerche approfondite, scopre l’emozione che comporta entrare nel mondo di Pavarotti con uno sguardo pulito, quello di chi è appena arrivato all’opera, esattamente il tipo di persona che Pavarotti amava tanto raggiungere.
Il fascino si trasforma presto in ispirazione, quando Howard trova anche una storia a cui non sa resistere: quella di un uomo di provincia che, balzato fulmineamente al culmine della celebrità, cerca di trovare il modo per portare con sé anche tutte le sue emozioni, le ansie, i sogni e l’amore verso gli altri. Forse l’origine della sua magica voce resterà per sempre un mistero, ma ciò che attira l’attenzione di Howard è il modo in cui Pavarotti ha imparato a farne uso.
Mentre si destreggiava tra materiale video raro, gli spettacoli più prestigiosi, le interviste di archivio e decine di nuove interviste, Howard ha individuato una tensione nell’uomo-Pavarotti. Da un lato c’era questo personaggio spontaneo e spensierato che apprezzava il bello della vita con vivace umiltà. Dall’altro, però, c’era un uomo che lottava contro le complessità causate dalla sua enorme notorietà, da aspettative alle stelle e relazioni turbolente – il tutto accentuato dal suo crescente senso di responsabilità, che lo spingeva a trovare una maniera per utilizzare la sua voce e il suo potere per scopi più gratificanti e duraturi della semplice fama.
Il tutto aveva un carattere così tipico dell’opera lirica, che Howard ha escogitato l’idea di strutturare l’intero film come un’opera in 3 atti. Dopo tutto, cos’altro poteva essere la vita di Pavarotti? Questo concetto ha dato forma all’intero progetto. Ora Howard poteva considerare il film come un’opera drammatica punteggiata da arie appassionate, sottolineando il contrasto tra uno spettacolo straordinario e i puri elementi umani del quotidiano.