Recensione: "Ogni parola che sapevo", il dramma umano e la rinascita del giornalista Andrea Vianello Recensione: "Ogni parola che sapevo", il dramma umano e la rinascita del giornalista Andrea Vianello

Recensione: “Ogni parola che sapevo”, il dramma umano e la rinascita del giornalista Andrea Vianello

Recensione: "Ogni parola che sapevo", il dramma umano e la rinascita del giornalista Andrea Vianello Recensione: "Ogni parola che sapevo", il dramma umano e la rinascita del giornalista Andrea VianelloFreud disse “è impossibile conoscere gli uomini senza conoscere la forza delle parole“.

Le parole sono più importanti di quello che pensiamo. Le parole evocano immagini, proiettano scenari, attivano i nostri neuroni specchio! Esse hanno la capacità unica di distinguerci, a partire dal nostro nome.

Le parole danno il senso profondo della nostra vita. Anche quelle che pronunciamo spesso senza pensare, distrattamente, mentre stiamo pensando a qualcos’altro.

Le parole si stratificano, entrano dentro di noi e rimangono. Le parole contano. Si ricordano. A meno che…

Ritrovarsi in un libro, aprire la prima pagina e sentire che quella pagina è stata scritta proprio per noi, è un viaggo che abbiamo da tempo in mente di intraprendere.

In Ogni parola che sapevo  (Mondadori) Andrea Vianello riesce a regalarci, con generosità e infinita pazienza, un prezioso strumento per conoscerci e, persino volerci più bene.

Lo fa grazie alla sua dolorosa esperienza, raccon­tandoci il dramma vissuto, del “fulmine” che lo ha colto, improvviso, un ictus. Si spoglia del pudore consueto, come, lui stesso fa notare, sono costretti a farlo tutti coloro che non a caso sono detti “pazienti” e ci confida tutto. L’adolescenza fatta di insicurezze, le relazioni personali, il lavoro, tutto. Con delicatezza e coraggio testimonia il suo vissuto, con teneri e gioiosi ricordi e con il ventaglio oscuro di tutte le sue paranoie del prima e del dopo il “fulmine”. L’intensità del racconto è nelle verità raccontate.

L’operazione d’urgenza che gli ha salvato la vita, ma non può arginare il danno. Le parole smarrite, intatte nel suo pensiero dove risplendono chiare e nette, ma trasformate in un gomitolo incomprensibile quando tenta di esprimerle. Cosa ne sarà di lui? Di quel brillante, logorroico, giornalista televisivo?

La benevola cura dei dottori, la serie estenuante degli esercizi, le ricadute nella paura. E il tempo, che da nemico, ridiventa complice, amico. Il tempo con cui fare amicizia.

Leggendo si ri­troverà qualcosa di sé, quel mondo nostro, di uomini che a un certo punto, desiderano rallentare perchè desi­derosi di correre ancora, ma in una diversa direzione.

Tuttavia bisogna imparare a saltare le trappole e magari essere talvolta costretti a perdere: in amore, nel lavoro o in salute. Per poi ritrovarci, volenti o nolenti, nella trasformazione, lasciando andare il già vissuto, tenendo ciò che resta, attratti da ciò che ancora è sconosciuto.

Alla fine il “fulmine” sarà un dono? Il dono di quel tempo esistenziale? Cosa resta per sempre e cosa si perde, per sempre?

Cambia il nostro rapporto con le persone, le cose e gli oggetti, con le abitudini, si crea una nuova gerarchia fra bisogni e desideri.

E ci si guarda, ci si guarda senza veli, senza filtri, senza pietà, inventariando i propri difetti, la propria ottusa vanità. Ma senza cattiveria, con una nota indulgente, malinconica, affettuosa e a volte irresistibilmente ironica. Perchè, diciamolo, un giornalista che ha perso le parole, di per sè fa un pò sorridere. Ma poi, si ride anche, di pancia, anzi di cuore. Perchè magari un indiano con i “baffi a manubrio” che parla solo inglese con accento hindi, si improvvisa autista e ti fa fare il viaggio più surreale della tua vita per portarti a fare la preziosa terapia da un capo all’altro di una Roma congestionata e prepotente. E nell’assurdità ilarante del momento, le parole prendono un ruolo marginale, scivolano in secondo piano, e lì, vince la Vita.

Una rivoluzione: accettazione, passione, angoscia, perdersi e ritrovarsi, libertà e pregiudizi.

E infine… a casa, il racconto del ritorno a sé, ritrovarsi, ricentrarsi, lanciare ponti di filo, sfidare il vuoto con le reti, o fare come le ninfee: galleggiare con lunghe radici che cercano nell’acqua il fondo a cui ancorarsi. E quel fondo è dentro di te, nella tua testa, dove tutte le parole sono rimaste, non sono andate via, ma chiedono di essere ripescate, una ad una.

Così termina il libro, mettendoci in guardia perchè, cammin facendo, per tutti può esserci una trappola di molteplice natura, e forse mentre stiamo leggendo ne abbiamo giusto una che ci sta stringendo l’anima.

Andrea Vianello nato il 25 aprile del 1961 a Roma, è giornalista professionista e conduttore radiofonico e televisivo (tra i suoi programmi Radio anch’io, Mi manda Rai Tre, Agorà, Rabona). È stato direttore di Rai Tre.

Nella sua carriera ha vinto l’Oscar della Radio (1993) per un’inchiesta sul dopo terremoto in Irpinia, il premio di Sant Vincent di giornalismo, sezione radiofonia (1997), il premio Flaiano (2000) e il Premio Festival della TV (2002).

«Fare il libro era una necessità e una terapia perché volevo scrivere e non ci riuscivo. L’ho fatto da solo, senza usare nemmeno la correzione automatica. È stata dura ma è stato anche bello – ha spiegato il giornalista in una recente intervista – Mentre scrivevo purtroppo io e mio fratello abbiamo anche perso il nostro papà, è stato un anno duro. E ho finito di scrivere il libro anche per lui, perché era un progetto che lo aveva reso felice».

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