Recensione: “Nelle stanze della soffitta” – Il mondo in due stanze
Nelle stanze della soffitta
di Tahereh Alavi
tradotto da Roja Ebrahimi
Editore Brioschi
“Le lettere di mio padre ci mettevano una settimana ad arrivare e io ci mettevo un mese ad aprirle” confessa la protagonista della storia di questo libro, che, sotto forma di diario, descrive il variegato mondo in cui lei si trova a vivere: due stanze all’ultimo piano di un palazzo di Parigi, il cui “tirchio e smemorato” padrone di casa, e cioè don Juan, è spagnolo.
Del resto, tutte le persone che le ruotano intorno e che vivono in quell’edificio hanno in comune il fatto di essere migranti, a cominciare da lei, che è iraniana e si trova nella capitale francese per frequentare la facoltà di medicina, ma poi, interrompe gli studi e, per non gravare sulla propria famiglia di origine, trova lavoro come “lavamorti” in un obitorio musulmano, per un iraniano un lavoro a dir poco mortificante.
Oltre a don Juan e alla giovane iraniana, vivono in quella casa Naim, un ragazzo afgano che si guadagna da vivere scrivendo tesi per studenti universitari, l’indiana Puja, che dice di essere giornalista, “ma niente in lei assomigliava a una giornalista, se non il suo essere eccessivamente ficcanaso”, una numerosissima famiglia africana, la cui madre muore dopo aver dato alla luce l’ultimo piccolo.
Fra tutti i personaggi descritti troviamo l’americano Tony, privo di gambe, perse combattendo in Vietnam, un uomo rude ma nello stesso tempo affettuoso. Eccessivamente drastico è il giudizio che lui esprime sui francesi, secondo lui “neppure capaci di difendere il proprio paese”, quando durante la seconda guerra mondiale, “hanno offerto al nemico su un piatto d’argento” il proprio Paese, “aspettando che arrivassero degli sciagurati” che li tirassero “fuori dalla merda”.
Proprio perché si tratta di un’opera sottoforma di diario di una giovane donna, “Nelle stanze della soffitta” può essere considerato un romanzo di formazione, poiché descrive qualcuno che si prepara alla vita, con tutti i dubbi e le incertezze tipiche degli adolescenti sul proprio futuro. L’autrice, inoltre descrive, attraverso le osservazioni e le riflessioni della protagonista, la difficile condizione dell’emigrante, in una nazione in cui “odiare i neri è accettabile, ma detestare gli animali è considerato un peccato imperdonabile”.