Recensione: "Napoli sepolta: Viaggio nei riti di fondazione di una città" - Un passato mai passato Recensione: "Napoli sepolta: Viaggio nei riti di fondazione di una città" - Un passato mai passato
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Recensione: “Napoli sepolta: Viaggio nei riti di fondazione di una città” – Un passato mai passato

Recensione: "Napoli sepolta: Viaggio nei riti di fondazione di una città" - Un passato mai passato Recensione: "Napoli sepolta: Viaggio nei riti di fondazione di una città" - Un passato mai passatoNapoli sepolta: Viaggio nei riti di fondazione di una città
di Ulrich Van Loyen
Meltemi Editore

Ulrich Van Loyen è nato a Dresda, in Germania.
Ulrich Van Loyen è dunque tedesco.
L’immaginario collettivo lo collocherebbe il più lontano possibile dalla città di Napoli.
Eppure lo studioso tedesco diviene “abitante” di questa città, si lascia coinvolgere totalmente nella spirale delle dinamiche sociali del tessuto partenopeo. Dinamiche lontanissime dalle sue radici, che attingono linfa in un passato “mai passato” del tutto. Greci di pensiero, i Napoletani non hanno mai dimenticato le antichissime lezioni della “categoria del doppio”: dalla Sibilla, alle Fontanelle, la città vive di stargate, porte di connessione catartica.

Questo antico legame è un modus vivendi che crea nel vivere quotidiano uno squarcio in cui gli spiriti tornano a parlare col mondo. Può sembrare un vivere nella paura, ma non c’è nulla da temere in un sistema in cui i sogni, le apparizioni, le profezie sono ancora vive. Da temere è invece il suo opposto, tutto ciò che relega la morte all’angolo più buio e tetro.

Il cimitero delle Fontanelle nel quartiere Sanità, è una magnifica invenzione di questa città: un luogo di collegamento fra i mondi. I teschi senza nome della peste e del colera, sono scelti, adottati e curati dalle famiglie, come fossero i propri morti. In cambio si ricevono doni e intercessioni, un continuo dialogo di baratto.

L’aldilà ha sempre parlato nella città di origine greca: la categoria del doppio psicologico, che J.P.Vernant aveva descritto in un bellissimo saggio per l’antica Grecia, a Napoli è ancora viva. Nel mondo greco così come avviene tuttora a Napoli, accanto alla religione pubblica si affianca quella dei misteri dove ci si reimpossessa del sacro e si ritrova il contatto mistico con la divinità attraverso il segreto. Non esiste alcun riconoscimento da parte della Chiesa ufficiale per questo mistero che si perpetua, ma esiste tuttavia questo culto dell’aldilà, così amato a Napoli.

Il libro nel descrivere queste atmosfere in alcuni punti è sfuggente come l’odore di un sentimento, di una speranza… è un frammento di una storia che non si afferra. Che cambia e vi chiede una trasformazione, un punto di vista differente e talvolta instabile. Un punto di vista “ovidiano”.
Tra preghiere, rituali, speranze di riscatto e interessi da parte della malavita di quartiere, un sottile filo tesse trame antiche che si perpetuano nel ricordo di divinità così lontane da avere nomi del tutto dimenticati o quasi.
Come Ecate, dea della magia e degli incroci, potente signora dell’oscurità, regnava sui demoni malvagi, sulla notte, la luna, i fantasmi, i morti. Era capace di viaggiare nel loro mondo così come in quello dei vivi, accompagnata da spettri, da cani, dotata di tre volti e di tre età, è una delle figure più affascinanti e misteriose del mondo pagano.
Nell’ ancestrale ricordo dei culti di Ecate, signora della Notte e deputata al “commercio” con i defunti, Il lunedì è il giorno dedicato alla cura dei morti. Soprattutto donne, si recano sul luogo di culto e alacremente, con alcool e naftalina iniziano a lustrare i teschi: la pulizia fa da catalizzatore per la salita in paradiso e di conseguenza per l’intercessione.

Quella raccontata da Van Ulrich non è una Napoli banale, quella folcloristica e pittoresca, ma dal Rione Sanità, passando per Secondigliano e approdando nel profondo del potentissimo culto della Madonna dell’Arco, la Napoli mostrata è ancora sepolta da grande mistero. Un mistero estremo. Spaventoso a percepirlo tutto.

E il culto delle anime del Purgatorio è un frammento di quel mistero che non si afferra, come un fantasma di sè.
Perché Napoli è una città di fantasmi e come ricordava il grande Eduardo, ci sono più fantasmi che vivi.
Se camminate per Napoli, quando non c’è nessuno, voi li sentite davvero questi fantasmi. E credo che Van Loyen sia stato chiamato lì, inconsapevolmente, a cercare quell’aldilà urbano e provare a sollevare quel velo che copre la città.

Ci si perde in questa Napoli Sepolta, e in questo viaggio tra i suoi riti, così difficile da rendere, tanto che spesso tra le pagine è solo abbozzata, suggerita, perché è l’intuizione che conta qualche volta. E il libro allora scivola tra il linguaggio didascalico del saggio a quello emozionale del diario di viaggio, in un continuo sdoppiarsi dell’autore tra studio puntuale e improvvisa meraviglia.

Il resto è questione di predisporsi alla comprensione di quella che è una delle cose più tenere della cultura napoletana, il suo rapporto con la morte. I morti chiedono una carezza, che non è, come pensano i più, scaramantica. E’ un affetto e un rispetto che si deve a quello che resta, ai nostri eterni doppi. E’ come farla a noi stessi quella carezza, venerando il mistero della vita che scompare e ritorna, eternamente.

“I teschi venivano curati e venerati o, proverbialmente, “adottati”, per rendere possibile il passaggio al purgatorio dei defunti a cui erano appartenuti. I resti fungevano da tracce visibili delle persone, (…)”.

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