Recensione: "Mastro Don Gesualdo", Enrico Guarneri e Guglielmo Ferro ai massimi livelli nel nome di Verga

Recensione: “Mastro Don Gesualdo”, Enrico Guarneri e Guglielmo Ferro ai massimi livelli nel nome di Verga

Recensione: "Mastro Don Gesualdo", Enrico Guarneri e Guglielmo Ferro ai massimi livelli nel nome di Verga Recensione: "Mastro Don Gesualdo", Enrico Guarneri e Guglielmo Ferro ai massimi livelli nel nome di VergaE’ un mondo spietato il nostro, nel quale conta chi ha di più? O forse neppure quello basta, se non hai un blasone che ti elevi a casta, senza il quale non sei che un “signor nessuno” arricchito? E quale spazio rimane per i sentimenti?

Mastro Don Gesualdo, uno dei capolavori della narrativa verghiana, visto per voi al Teatro Moderno di Grosseto, viene messo in scena per la regia di Guglielmo Ferro, figlio di quel Turi Ferro che fu, circa 50 anni fa, uno dei massimi interpreti proprio di questo testo del Ciclo dei Vinti.

Enrico Guarneri fa immediatamente ingresso sulla scena, nei panni di un morente Gesualdo Motta, di cui ripercorreremo poi le vicende in un immenso flashback che caratterizza i circa 120 minuti dello spettacolo, suddiviso in due atti.

Gesualdo, come spesso accade nei romanzi dell’autore siciliano, è ossessionato dalla roba. Considera cioè i beni materiali, in particolare le terre, la chiave per il proprio ascensore sociale e, alla fine, il centro del proprio mondo, da anteporre a qualsivoglia altro interesse, aspirazione, perfino passione. E’ il simbolo di quella borghesia rampante che si affaccia sulla scena in maniera prorompente nel diciannovesimo secolo.

E sarà proprio la roba a far sì che Gesualdo diventi il marito della nobile Bianca Trao, rinunciando al vero amore per la serva Diodata, avendo così, almeno apparentemente, accesso all’élite. Ben presto, però, Gesualdo scoprirà cosa lo attende: un futuro di solitudine, senza affetti, appeso a quella roba che gli ha donato ricchezza ma non felicità.

Guarneri è straordinario sia nella presenza scenica che nell’interpretazione, dosando la sua innata vis comica a servizio della sceneggiatura. Il resto lo fa la regia di Ferro, abile nell’usare le luci, o meglio l’assenza di esse, a sottolineare la prova d’attore del protagonista. I cambi di scena ben calibrati, inoltre, donano ritmo alla narrazione. Buono anche il parterre di attori che accompagna Guarneri, a sottolineare uno spettacolo decisamente riuscito.

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