Recensione: “Maria che danza sulle antenne di un calabrone” – Ciò che non può essere fermato
Maria che danza sulle antenne di un calabrone
di Alberto Coco
Porto Seguro Editore
Quante forme può avere l’amore? Non ci è dato saperlo, quello che sappiamo è che ve ne sono di pure, come quello assoluto di una madre per il proprio figlio morto giovane, quello che supera le divisioni generazionali tra nonni e nipoti, quello intenso e combattivo di un padre per una figlia che il mondo considera “diversa”.
Alberto Coco ci racconta tutto questo nel suo romanzo d’esordio “Maria che danza sulle antenne di un calabrone” attraverso la storia di Pina e di Berto, rispettivamente nonna e nipote, e del loro viaggio lungo l’Italia, partendo da Milano e terminando a San Severo, in provincia di Foggia. È un racconto che si evolve nel tempo e nello spazio passando per la storia e la memoria, passaggio obbligato per chi si avvicina alla fine di quel percorso che è la vita e per chi, come Berto, si apre all’età adulta e così al suo futuro.
All’inizio conosciamo un giovane Berto mentre conduce la vita di un normale studente universitario che condivide l’appartamento con altri due studenti e, Roberta, una ragazza per cui nutre un sentimento particolare. Molto legato alla famiglia di origine, la sua quotidianità viene sconvolta dalla notizia che nonna Pina, la matriarca, ha un tumore al cervello a uno stadio avanzato e, perciò, ha pochissimo da vivere. Per tale motivo, Berto, con sorpresa di tutti, decide di occuparsi di sua nonna e, successivamente, di affrontare un viaggio verso la Puglia con lei per conoscere quei luoghi che hanno fatto parte della sua esistenza.
Il passato si svela con i ricordi mentre la macchina guidata da Berto percorre l’autostrada e le persone, che hanno fatto parte della vita di nonna Pina, emergono dalla sua memoria per diventare nuovamente vivi, quasi come fossero ad aspettarli al termine del viaggio. Insieme alle storie della propria famiglia, al dolore e alla sopravvivenza alla morte del figlio prediletto Enzo, a cui Berto assomiglia moltissimo, nella nostalgia intima di nonna Pina trova posto anche la storia del nostro Paese, partendo dal periodo fascista per concentrarsi sulla Seconda Guerra Mondiale. Le vicende personali acquistano, perciò, valore di memoria storica, un’eredità da lasciare a chi verrà perché niente venga dimenticato dal tempo che scorre e dalle generazioni che si allontanano sempre di più da ciò che è stato.
Durante la breve permanenza a San Severo, in Puglia, al percorso a ritroso nel tempo si aggiunge la riscoperta della terra non solo come senso di appartenenza e radici, bensì anche come valore della semplicità dei ritmi naturali e di una dimensione più umana in opposizione a una vita moderna troppo frenetica tanto da diventare robotica: l’attesa dei pesci freschissimi sul trabucco ne è l’immagine dipinta con parole semplici eppure talmente belle da renderla realtà agli occhi del lettore. In tutto questo si muove Maria, presenza reale e onirica che porta dentro di sé un destino particolare, quello delle donne della sua famiglia, invisibile e visibile al tempo stesso. Nei gesti e nelle parole pronunciate come nei non detti, si crea un’atmosfera di concreto e magico che si compenetrano e svelano l’equilibrio di ciò che siamo con ciò che abbiamo vissuto, anche se inconsapevolmente.
“Maria che danza sulle antenne di un calabrone” è un romanzo che si avvale di una forma pulita e sapiente per parlare della profondità dei sentimenti attraverso una rete di vite vissute dove i sentimenti e i ricordi sono una luce per esplorare la tragedia della malattia e della morte, per scoprire la vita. Il protagonista principale è l’amore, non solo come attrazione tra uomo e donna, o tra nonna e nipote, bensì come espressione di tenerezza, affetto e soprattutto cura, racchiusa iconicamente nel gesto di Berto che taglia i capelli di Pina per affrontare la chemioterapia: un momento di consapevolezza e di intimità estrema per esorcizzare la paura di ciò che non può essere fermato.