Recensione: “Lo spazio e il deserto nel cinema di Pasolini” – La razionalità moderna e l’universo arcaico del mito
Lo spazio e il deserto nel cinema di Pasolini.
Edipo re, Teorema, Porcile, Medea.
Paolo Lago,
Mimesis / Cinema 2020.
«A ciascuno la sua notte», diceva il grande scrittore cattolico francese Julien Green; echeggiandolo, potremmo dire: «A ciascuno il suo deserto»: poichè in nessun altro luogo, o meglio non luogo, si manifesta così tanto nuda, aspra, spietata, la propria verità interiore.
Paolo Lago, attraverso le pellicole pasoliniane, Edipo re (1967), Teorema (1968), Medea (1969) e Porcile (1969), rileva come la “spazialità desertica” della periferia contrapposta alle disciplinate ambientazioni borghesi, sono simbolo di contrasti e profonde scissioni sociali.
«Sembra che lo spazio cereo e geometrico possa essere annullato da un momento all’altro dall’incedere dello spazio desertico, astorico e atemporale, connotato nel profondo dal mito della barbarie.».
L’autore rileva la maturità di questa traccia estetica a partire da Edipo re, dove: «La dialettica fra spazi diventa dialettica fra società: da una parte, quella barbarica, arcaica, pura e quindi mitica che, ormai, si può solo trovare nei paesi del cosiddetto Terzo Mondo, dall’altra, quella borghese e capitalistica, precipitata nell’inferno dei nuovi consumi […], connotata da colori smorti e pallidi e da interni rigidi e geometrici.». Gli scenari periferici pasoliniani proiettano l’avvenire in quanto tolgono ogni maschera, annientano il destino, che non è che l’ennesima maschera, come è maschera tutto ciò che non è la morte, la quale, nel deserto, è la possibilità più certa.
La morte è anche e soprattutto nella e della Speranza. Questo non costituisce tanto la condizione dell’uomo odierno, quanto la sua stessa, desertica, essenza incatenata, tra l’altro, ad un orizzonte spietato in cui manca la risposta alle domande dell’essere.
Una condizione di desertificazione e di desolazione, che inaridisce qualsiasi possibilità di costruzione. Lago fa un parallelo tra la pasoliniana contestazione della società dei consumi e il pensiero di Robert Kurz che ritiene indispensabile, per rompere una volta per tutte con i rapporti feticistici e di dominio del sistema capitalista, una scelta anti-moderna radicale.
Questo parallelo genera l’idealizzazione da parte di Pasolini della società africana, legata a una forma di antimodernità, di contestazione radicale dei rapporti feticistici e di dominio.
In Teorema, il personaggio sacrale dell’Ospite, “quasi un nuovo Dioniso”, diventa un elemento di rottura e si fa portatore di una dimensione sacra all’interno della lussuosa dimora dell’alta borghesia milanese totalmente dissacralizzata. Nel deserto, in assenza di qualunque elemento accessorio, si incontra la propria anima e si precipita al fondo di essa: per trovarvi, a seconda dei casi, l’Inferno o il Paradiso; ma in nessun caso è dato di barare, di protrarre la finzione. Insomma, occorre desertificare la nostra anima per riattivarne gli occhi interiori, i soli capaci di cogliere l’invisibile, la Forma originaria delle cose, il significato di fondo di cui sono intessute.
Nel film successivo, Porcile, il deserto è lo spazio mutevole e imprevedibile ambientato in Sicilia e attraversato dalle eruzioni vulcaniche dell’Etna. Fa da contraltare l’interno della villa borghese. «Se quest’ultima si configura quasi come un monumentale sepolcro che racchiude il pensiero e l’ideologia di una borghesia industriale in ascesa che cova terribili mostruosità nel suo passato, gli stessi personaggi borghesi appaiono come tante marionette che da questa ideologia sono manovrate.».
Abitare il deserto significa, allora, prendere congedo anche solo per brevi momenti dal mondo, per fare i conti con noi stessi, ascoltare la saggezza del cuore, riscoprire l’essenziale, riarticolare un discorso di senso capace di dare voce ai nostri sentimenti più autentici.
Medea approfondendo le tematiche dei film precedenti mette in scena il conflitto fra mondo contadino e mondo borghese.
L’universo arcaico del mito, estraneo alla razionalità moderna. Il contrapporsi di uno spazio curvilineo con uno rettilineo sembra sottende un’opposizione fra diverse culture e società.
Misticismo, abbandono, sogno, idiozia, spinta al nuovo; annullamenti personali e nuovi orizzonti: l’avanzata del deserto procede.
L’esperienza del deserto non va però conservata gelosamente per sé, bensì va comunicata agli altri, in modo tale che i deserti entrino nelle città e si possa dar vita ad un’umanità adulta, capace di coniugare la necessità dei ritmi produttivi con la forza del pensiero ideante e il linguaggio genuino dei sentimenti.
Paolo Lago è dottore di ricerca in Letterature Straniere e Scienze della letteratura all’Università di Verona e in Scienze linguistiche, filologiche e letterarie all’Università di Padova. Fra le sue monografie ricordiamo: L’ombra corsara di Menippo. La linea culturale menippea, fra letteratura e cinema, da Pasolini a Arbasino e Fellini (2007), La nave, lo spazio e l’Altro. L’eterotopia della nave nella letteratura e nel cinema (2016), Il vampiro, il mostro, il folle. Tre incontri con l’Altro in Herzog, Lynch, Tarkovskij (2019). Ha pubblicato le raccolte di poesie I pirati del sud (2018) e La rosa di Pola (2019). All’opera di Pasolini ha già dedicato numerosi saggi e fa parte della redazione della rivista internazionale “Studi pasoliniani”.