Recensione: “L’incredibile storia di António Salazar, il dittatore che morì due volte” – la vita, le idee, le donne e la fine di uno degli uomini più potenti dell’Europa del secolo scorso
“Mi piacerebbe gustarmi di vedere la confusione in cui il paese cadrà quando sarò sparito”. Lui era un’entità sublime, come Dio, la Madonna di Fátima, Gesù venuto in terra, lui era il niente e il tutto, l’infinito e la potenza, lui incarnava lo Spirito del Nuovo Medioevo portoghese installato nel Novecento, la grandezza della distanza atlantica, il legame marittimo tra Europa e Oriente, la sfida alle incognite della geografia, la magniloquenza della scoperta e della conquista.
Questo è “L’incredibile storia di António Salazar, il dittatore che morì due volte” di Marco Ferrari (Editori Laterza), giornalista, scrittore e autore televisivo italiano, ha esordito nella narrativa nel 1988.nio
António de Oliveira Salazar, l’uomo del Vimieiro, professore di Coimbra, fa il suo ingresso nella politica lusitana il 28 aprile 1928 e ne esce “inconsapevolmente” il 27 settembre 1968 con la nomina di Marcelo Caetano quale nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il dittatore più longevo d’Europa, senza velleità espansionistiche ma con un desiderio irrefrenabile di tenere unito e compatto tutto il suo territorio, un desiderio vissuto come una missione divina da realizzare ad ogni costo anche ricorrendo a violenze e crudeltà, dopo quarant’anni, quattro mesi e ventotto giorni viene deposto a causa delle complicazioni avute in seguito ad una semplice caduta da una sedia mentre si preparava per una seduta con il suo callista. Salazar non saprà mai di aver perso il suo ruolo politico, morirà due anni più tardi convinto di essere ancora l’indiscusso Presidente del Consiglio dei Ministri e l’uomo più potente del Portogallo.
Il romanzo si apre con la narrazione del fatidico giorno dell’incidente che ha segnato l’inizio della fine del regime dittatoriale in Portogallo, per poi percorrere i quarant’anni di dominio salazariano, le scelte fatte, il controllo delle colonie, la creazione della PIDE (temibile polizia politica segreta), i terribili penitenziari in cui i prigionieri venivano crudelmente torturati lontano da occhi indiscreti, i due anni di “vita/non vita” e le donne che hanno ruotato intorno al dittatore, prima fra tutte la sua governante, Dona Maria de Jesus Caetano Freire, forse la vera governatrice del Paese.
Il romanzo, storico, di facile lettura, dà la percezione di una profonda conoscenza sia dei luoghi che dei personaggi coinvolti, è lo specchio su uno degli uomini più potenti del secolo scorso, tanto potente quanto schivo e solitario e quindi difficilmente inquadrabile.
La descrizione degli ultimi due anni di vita di Salazar trasmette al lettore la misura della sua grandezza, perché solo per un uomo di grande spessore l’intero sistema politico, i medici e la stampa avrebbero messo in atto la teatrale messinscena che lo accompagnerà fino al giorno della sua morte nella convinzione di non aver mai perso il suo ruolo.
E come decretò Dona Maria de Jesus: Tutto doveva tornare come prima e nessun medico o infermiere doveva rivelare al grande malato ciò che era cambiato nella vita politica del paese: gli ex ministri dovevano continuare ad essere ministri, i governatori lo stesso, i capi della Pide pure, Américo Tomás doveva andare a raccontargli tutto quello che accadeva nella madrepatria e nell’oltremare. In fondo lui era il capo di tutti, e tutti dovevano a lui il posto che occupavano. Se il paese lo aveva sopportato per quattro decenni, poteva pazientare ancora un po’.