Recensione: "Leonora addio" - Un addio mai rimarginato Recensione: "Leonora addio" - Un addio mai rimarginato

Recensione: “Leonora addio” – Un addio mai rimarginato

Recensione: "Leonora addio" - Un addio mai rimarginato Recensione: "Leonora addio" - Un addio mai rimarginatoPrende voce dal letto di morte il pensiero di Pirandello, in un’enorme sproporzionata stanza. Posti in una visione prospettica esasperata siamo avvolti parola dopo parola in una cupa consapevolezza che diviene grumo nel centro del petto, come una nebbia densa attaccata alla nostra gabbia toracica per tutta la durata del film.

Disappunto e sorpresa: è già finita questa vita? Come può essere accaduto così in fretta?

Paolo Taviani compie un viaggio attraverso il tempo e il ricordo di chi non è più tra noi. Indugia negli spazi che contengono i suoi personaggi, spazi sempre troppo grandi frutto di depravazioni ottiche fondate sui giochi della scenotecnica e della prospettiva, quasi anamorfosi, in cui una umanità meschina e fragile si muove tra fatica e smarrimento. Lo smarrimento che si prova davanti a un destino ineluttabile, un dolore senza scampo, proprio come nell’aria del Trovatore che dà il titolo al suo film e a una omonima novella di Pirandello, Leonora addio.

Le volontà testamentarie di Pirandello, che aborrivano ogni funerale e celebrazione dopo la sua morte, creano imbarazzo allo stesso Mussolini. Il duce, adirato non può far altro che ordinare alla stampa di non perdersi in troppe celebrazioni postume sui quotidiani, ma che sia data solo la notizia, come un semplice fatto di cronaca. Per Pirandello il regime fascista avrebbe voluto esequie di Stato.

Vennero invece rispettate le sue volontà: «Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi».
Da qui ha inizio la storia tragicomica delle ceneri di Luigi Pirandello.

Leonora addio, è il primo lavoro di Paolo Taviani senza il fratello Vittorio. Il film racconta due storie, quella inconsapevole e quella consapevole. La prima in un nostalgico bianco e nero, cesella con gusto manieristico l’assurdo e il grottesco destino delle spoglie del poeta; la seconda si appropria del colore per mettere in scena l’ultimo racconto scritto da Pirandello prima di morire, Il chiodo, ispirato a un fatto di sangue avvenuto a Brooklyn.

Nella rappresentazione de Il chiodo un colore terso, a tratti squillante, plasma le espressioni dei personaggi, il loro teatrale muoversi in uno spazio sempre troppo grande, ostile, straniero. Le fattezze umane si diluiscono in qualcosa di primitivo, ancestrale, qualcosa che deve accadere per volere di forze misteriose e invincibili… entità che desiderano acquietarsi nel rosso del sangue versato, forze scaturite dalla perdita di un amore immenso mai dimenticato. Di un cordone ombelicale reciso a morsi dalla fame e dalla miseria.

Perchè Leonora addio è un vero addio, un addio alla vita per Pirandello, un addio all’innocenza per il povero Bastianeddu, costretto dal padre a lasciare la sua Sicilia e la madre, per raggiungere l’America. Un addio mai rimarginato, che lo porterà a compiere un gesto estremo e violento.

Il grumo di nebbia nel centro del nostro petto diviene pietra. Una grossa pietra non lavorata, una scultura monolitica, come quella che l’artista vincitore del concorso indetto, costruì per custodire le ceneri di Pirandello, finalmente tornate nel giardino di casa nel 1962, versate in un cilindro di rame inserito nel terreno, chiuso e sigillato col cemento.

Ma tornare nella villa di contrada “Caos”, dove era nato, fu per il fantasma di Pirandello un viaggio grottesco e travagliato.
Come se il fantasma stesso rifuggisse al suo destino e traboccando da un’urna a un’altra, dall’una all’altra sepoltura, trovasse il modo di prendere il volo nelle lame di luce sotto forma di lucente pulviscolo ribelle.

Il film è l’unica opera italiana in concorso al Festival di Berlino, è un’opera italiana nel titolo, nel racconto, nelle atmosfere e nei personaggi stessi, attori di un narrato che è insieme vita e sua messa in scena.

La giuria della Fédération Internationale de la Presse Cinématographique per il concorso della 72ma Berlinale, composta da René Marx (Francia), Anna Maria Pasetti (Italia) e Hsin Wang (Taiwan), ha assegnato il premio Premio FIPRESCI al film con la seguente motivazione. “Guidato dallo spirito libero del genio di Pirandello, il regista mescola poesia, malinconia, ma anche ironia, fantasia e letizia per raccontarci i misteri della vita, della morte e della memoria”.

Leonora Addio interpretato da Fabrizio FerracaneMatteo PittirutiDania MarinoDora BeckerClaudio Bigagli, esce in sala il 17 febbraio, distribuito da 01 Distribution. Il film è una produzioneStemal Entertainment con Rai Cinema – prodotto da Donatella Palermo – in associazione con Luce Cinecittà, in associazione con Cinemaundici realizzato con il sostegno della Regione Siciliana – Assessorato Turismo Sport e Spettacolo – Sicilia Film Commission con il contributo del MIC – DG Cinema e Audiovisivo.
 
Regia, soggetto e sceneggiatura sono di Paolo Taviani, montaggio di Roberto Perpignani, musiche di Nicola Piovani (edizioni musicali Ala Bianca Publishing), costumi di Lina Nerli Taviani, scenografia di Emita Frigato, fotografia di Paolo Carnera e Simone Zampagni. Il film è stato girato in Sicilia e negli studi di Cinecittà.

 

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