Recensione: “Le sorelle Lacroix” – Rancori e vendette familiari
“Le sorelle Lacroix”
di Georges Simenon
traduzione di Federica e Lorenza Di Lella
Biblioteca Adelphi
Parlare di Georges Simenon, vuol dire richiamare alla mente il commissario Maigret, uno dei personaggi più amati e conosciuti dell’autore che ha affascinato il pubblico dei lettori con i suoi gialli, non solo per le trame estremamente realistiche, ma anche per lo sguardo diretto verso l’essere umano e il suo rapporto col mondo in cui si muove.
Questo romanziere francese di origine belga, che occupa un posto di rilievo nella narrativa europea per la produzione di circa cinquecento romanzi, ha fatto del romanzo stesso uno strumento con cui guarda l’essere umano chiuso nella vita del ceto medio oppure basso, in un’apparente normalità che può svelare impensabili fragilità e abissi. Tra queste fragilità e questi abissi si sviluppa “Le sorelle Lacroix”, pubblicato per la prima volta nel 1938. La storia di due sorelle che vivono di odio e astio, come se fossero essenza di vita più dell’ossigeno stesso.
La storia vede protagoniste Poldine e Mathilde, sorelle, entrambe sposate e con figli. Famiglie benestanti, apparenza senza problemi, ma quando le porte si chiudono al mondo esterno, quelle case, che sembrano fatte di zucchero, nascondono dentro di loro una rete di rancori, bugie e soprattutto livori.
Poldine tiranneggia la famiglia solo per il gusto di sottomettere chi ha intorno, mentre Mathilde ammanta tutto ciò che la circonda di freddezza e acredine. Entrambe le sorelle rovinano volontariamente tutto ciò da cui sono circondate, ma sarà Emmanuel, marito di Mathilde, ormai stanco di questo gioco al massacro, a ribellarsi tentando un gesto estremo, per quanto criminale, che però viene scoperto.
Questo gesto, tuttavia, non viene colto come un momento rivelatore del malessere delle persone circostanti, bensì fa scattare una guerra ancora più acuta dove l’odio diventa sovrano e prende la forma di infiniti colpi bassi, che neppure una morte riesce a scardinare. Poldine e Mathilde sono perse in un loro mondo fatto di segreti inconfessabili e desiderio di vendetta, mentre le famiglie si disperdono. Un gioco crudele dove il destino segnato è solo la solitudine che aggiungerà livore a livore, senza mai raggiungere la vera comprensione del male causato.
Simenon porta all’eccesso sentimenti e situazioni per mostrare al lettore un aspetto profondamente umano, fatto di paranoie e ossessioni, di sentimenti estremi e crudeli, della tossicità che può diffondersi a chi è intorno, ma soprattutto della cecità che il furore e il rancore provocano nell’uomo, fino alla distruzione.
Un gioco al massacro che potrebbe essere evitato, ma che viene volontariamente continuato perché parte della stessa natura umana. Un gioco fatto da personaggi apparentemente perfetti, descritti in uno stile chiaro e pulito che li rende estremamente reali, che trova nella nuova traduzione di Federica e Lorenza Di Lella dell’Edizione Adelphi una perfetta resa che attira il lettore, non lo stanca, anzi lo coinvolge sempre di più fino a catturarlo dalla prima all’ultima pagina.