Recensione: “Le leggi dell’abitudine”, siamo quel che facciamo ripetutamente
“L’abitudine una seconda natura! L’abitudine dieci volte natura”.
Pare siano affermazioni del duca di Wellington.
Nel saggio di William James dedicato all’abitudine, Le leggi dell’abitudine (Mimesis Edizioni) è raccontato un calzante aneddoto:
“C’è una storia (…) di un burlone che, vedendo un veterano in licenza portare a casa la sua cena, gridò all’improvviso -Sull’attenti!- , al che l’uomo istantaneamente abbassò le mani e lasciò cadere la sua porzione di montone e patate…”.
Il testo, tradotto per la prima volta in italiano a cura di Denise Vincenti, era apparso come articolo sulla rivista The popular Science Monthly nel 1887. Parlare di abitudine in relazione alla filosofia e alla fisiognomica, pare fosse all’epoca di gran moda. Tuttavia nell’era contemporanea delle neuroscienze, l’argomento ritorna alla ribalta e tante domande affiorano sulle conseguenze della supersonica velocità con cui sono mutate alcune abitudini umane.
L’origine dello studio dei principi dell’abitudine parte da lontano, lo stesso Aristotele discorrendo sull’etica nicomachea, sminuisce le doti naturali e mette al centro della formazione morale l’educazione delle abitudini, da cui dipende anche la corretta maturazione della razionalità. Per il filosofo dunque: Siamo quello che facciamo ripetutamente. L’eccellenza non è un atto, ma un’abitudine.”
James con i suoi studi, sposta la lancetta della questione “abitudine” dal campo della filosofia a quello della psicologia. La modernità di questo passaggio si deve all’influenza dello scenario evoluzionista e delle ipotesi neurofisiologiche dell’arco riflesso, il tipo di via nervosa di natura riflessa e involontaria, il più semplice.
Il concetto di abitudine assume una crescente importanza nel campo della salute mentale e fisica. Si intuisce infatti come la comprensione del funzionamento delle abitudini possa essere d’aiuto nella promozione del benessere individuale, stabilendo o consolidando comportamenti funzionali. Allo stesso tempo interrompendo o modificando comportamenti nocivi.
Lungi dall’esaurire l’argomento, l’articolo di James illustra il funzionamento generale del meccanismo abitudinario, mettendo in campo tutte le conoscenze dell’epoca.
D’altronde come diceva James, la ripetizione di un’azione ne rende sempre più facile l’esecuzione, fino a produrla in automatico; come se creasse un solco, una traccia in cui è più semplice scivolare.
La potenza di questa traccia spiega come sia così arduo modificare un comportamento abitudinario, anche laddove ci sia intenzionalità nel farlo.
Il cambiamento comporta una dose di ansia, legato all’interruzione dell’equilibrio esistente. Spesso si tende a procrastinare proprio per paura di abbandonare le rassicuranti azioni abitudinarie che ci regalano situazioni prevedibili.
James mette mano più volte all’articolo del 1887. Con variazioni e aggiunte diverrà il quarto capitolo del primo volume dei celebri Principles of Psychology nel 1890. In seguito, ridotto e perfezionato ritroviamo lo scritto nell’opera Psychology.
Questo a testimonianza di una fascinazione per questo tema mai sopita che lo porterà a geniali intuizioni sulla “plasticità” del sistema nervoso. Termine questo, plasticità, che entrerà nel vocabolario neurologico solo nel XX secolo.
Il non aver mai tradotto in italiano un testo così brillante, era una grave lacuna, finalmente colmata.
William James, figlio del filosofo trascendentalista Henry senior, condivise con il fratello scrittore, l’interesse per la psicologia. James si laureò in medicina nel 1869, studiando la psicologia da autodidatta, per diventare infine il primo docente universitario americano in questa disciplina. Fondò ad Harvard il primo laboratorio statunitense di psicologia sperimentale, insegnandovi fino al 1907.
La sua opera maggiore fu pubblicata nel 1890: sono i Principi di psicologia.
Fra le altre sue opere si ricordano: The Will to Believe (La volontà di credere, 1897); Human Immortality: Two Supposed Objections to the Doctrine (Due possibili obiezioni alla credenza nell’immortalità, 1897); A Pluralistic Universe (L’universo pluralistico, 1909); Essays in Radical Empiricism (Saggi di empirismo radicale, 1912).