Recensione: Le chiavi di casa – la potenza del non detto
Le chiavi di casa
di Paolo Ricchiuto
Giunti Editore
Quanto può costare nascondere a se stessi e agli altri ciò che siamo e che proviamo, abiurare la propria natura, i propri sentimenti, le proprie pulsioni, in nome di una normalità che smette di essere tale proprio quando chiede al “non allineato” di allinearsi?
Marco è un bambino solitario, non ama le feste e il contatto con gli altri, parla da solo e nella scrittura trova la sua unica dimensione. Un bambino intelligente e precoce che, sicuramente, non ha gli strumenti per gestire questa sua precocità. “Disturbo dello spettro autistico, sindrome di Asperger”, troverà scritto su un suo disegno Piggi, amico da sempre, che sta cercando, molti anni dopo, di sottrarre alla curiosità dei media l’intimità ridotta a brandelli di Marco.
Ma, da bambino intelligente, Marco capisce fin da subito che, se dai agli altri ciò che gli altri chiamano normalità, gli altri smetteranno di preoccuparsi per te e tu sarai, in qualche modo, libero. Una libertà fatta di bugie, di socialità più o meno coatta che, alla fine, anche lui rischia di scambiare per felicità. Ma è una finzione che durerà poco, sbriciolata in un attimo dalla potenza del primo amore, quello per Sveva, bellissima compagna di scuola, amica, confidente, presenza insostituibile dall’adolescenza e fino alla fine di tutto, Sveva che sposerà Vittorio e che sarà, per sempre, la sua ossessione.
Diventato sceneggiatore televisivo di successo, si è quasi convinto che aver nascosto il suo amore per Sveva sotto il vestito di una bellissima amicizia sia qualcosa che può gestire, ma un banale incidente in motorino che obbliga lei e Vittorio a rimanere in ospedale, un paio di chiavi che gli ricordano che qualcun altro sta vivendo la vita che lui avrebbe voluto vivere apriranno una falla irreparabile in questo “travestimento” e porteranno tutti verso una tragedia più che annunciata.
Ventisette anni dopo la tragedia, è il momento, per chi è rimasto, di fare i conti con la verità, nell’impossibilità di sottrarsi alla vita che, irrimediabilmente, finisce per chiederti il conto. E si tratta di un conto davvero salato, di un cerchio che si chiude troppo tardi per essere perfetto, di una colpa che si è nutrita di silenzio e menzogne per troppi anni e ha accumulato una obesità cattiva che schiaccia tutto e tutti, anche chi, al momento della tragedia, ancora non esisteva.
Un thriller psicologico in cui il carnefice è anche vittima e la vittima anche carnefice, dove il non detto ha la potenza della più spietata delle nemesi e il lettore viene rapito da un crescendo di emozioni, con la sensazione, chiara fin da subito, che gli sarà impossibile giudicare chi è il buono e chi è il cattivo. Del resto, questa secca dicotomia non è mai reale e Marco, Sveva, Vittorio e gli altri ne sono una umanissima dimostrazione.