Recensione: “Le ammaliatrici” – Streghe, o sante
Un “casciaball” che sta per essere condannato a morte sul patibolo, tale Bargniff, chiede qualche minuto per poter raccontare una storia che riguarda due donne:
“due donne speciali che mi hanno cambiato la vita. Anzi, se sono qui ad attendere il colpo del boia è colpa loro, vaccaladra”
Il racconto di un affabulatore dunque apre il romanzo di Carlo Silini, Le ammaliatrici, edito da Gabriele Capelli.
Ambientato nel 1600, tra valli svizzere, comasco e Ducato di Milano, il romanzo, che chiude una splendida trilogia, ha un’ispirazione storica molto solida.
Le vicende narrate sono quelle dei protagonisti che danno la caccia a Maddalena De Buziis, una donna magnetica e bellissima, sfuggita a un’esecuzione capitale.
Maddalena è il perno intorno al quale ruotano tutte le vicende, che finiranno poi nel convergere nel finale aperto del libro.
La malìa è la protagonista di questo racconto, che appare inverosimile a chi lo ascolta, molto caricato, paradossale, buffo e divertente a tratti.
Il lettore nel corso di tutto il romanzo si sentirà sospeso tra verità e invenzione, tra leggenda e storia, magia e realtà.
Silini si dimostra molto abile nel tenerci volutamente sospesi tra l’incredulità e il paradosso, e ci conduce verso una singolare visione della donna, sospesa anche essa, tra normalità, stregoneria e santità.
Maddalena e Maria del Matè, altra protagonista femminile del romanzo, sono capaci di ammaliare e sedurre, ma lo fanno senza colpevolezza e senza arrecare danno ad alcuno o trarne qualche profitto e soffrendo anzi della loro condizione di donne ipersensibili e accoglienti.
L’autore è grandioso perché evidenzia che quel sospeso affascinante, tipico delle donne belle e carismatiche, viene spesso volutamente violato dal giudizio degli uomini.
La colpevolezza e la ferocia sono proprie di chi, diventandone ossessionato e non riuscendo a raggiungerle e a possederle, le giudica o le bolla come streghe o sante, conferendo loro un’aura di inaccessibilità magica, mai spiegabile con il rifiuto, che evidentemente sono incapaci di sostenere.
Più che una contestazione dei metodi barbari della Chiesa nel post Medievo, questo romanzo a mio parere esamina un elemento cruciale molto importante, che descrive la natura più profonda del pregiudizio di molti maschi nei confronti delle donne.
L’inadeguatezza, il senso di sfida e il possesso sono gli elementi con i quali volutamente si fraintendono le donne, altrimenti inaccessibili.
Non è un caso che tutti i maschi, che nel libro danno la caccia alle due sante, siano falliti in qualche ambito o vivano di espedienti e che le donne invece siano capaci di accoglienza umana e sacrificio.
In questo risiede la potenza di questo romanzo, che è un vero e proprio inno alla forza delle donne e al modo in cui essa venga volutamente e meschinamente fraintesa da maschi deboli.