Recensione: La Terra sbagliata - Lumache con il guscio al contrario Recensione: La Terra sbagliata - Lumache con il guscio al contrario

Recensione: La Terra sbagliata – Lumache con il guscio al contrario

Recensione: La Terra sbagliata - Lumache con il guscio al contrario Recensione: La Terra sbagliata - Lumache con il guscio al contrarioLa Terra sbagliata
di Gazmed Kapllani
tradotto da Rossella Monaco e Ermal Rrena
Del Vecchio Editore

La Terra sbagliata di Gazmed Kapllani è un romanzo da cui mi sono sentita accolta e che recensisco con amore.

Sin dalle prime pagine ho provato una forte sintonia con il protagonista, Karl, che il padre insegnante e fervente attivista del partito comunista in Albania, chiamò così alla nascita, in onore di Karl Marx.
Karl cresce nella cittadina di Ters e a un certo punto della sua vita, appena dopo la caduta del regime totalitario in Albania, decide di seguire il proprio impeto ribelle e di emigrare. Il romanzo è scorrevole e poetico senza mai scadere in nessun tipo di banalismo retorico.

La lingua albanese ha una musicalità (come racconta anche lo stesso Karl nel romanzo, che diventa uno scrittore) molto simile alla lingua italiana, pur essendo una lingua indoeuropea che risulta dalla convergenza di una base originaria illirica (scomparsa all’inizio della nostra era) e di elementi latini, greci, turchi e slavi, non assimilabile alla nostra. Il racconto dei sentimenti e della vita di Karl si accompagna in parallelo alle riflessioni del fratello, che vive una condizione emotiva ed esistenziale totalmente differente.

Mediante numerosi flashback Karl ricostruisce il proprio percorso esistenziale complesso che culmina nell’impulso di espatriare senza mai però radicarsi in nessun luogo.
Chi si aspetta un romanzo che racconti solo di emigrazione e di difficoltà soggettive o politiche si sbaglia.
Il romanzo è rivolto piuttosto ad analizzare i sentimenti che spingono alcuni esseri umani a non inquadrarsi mai in nessun ruolo.
La Terra sbagliata è un romanzo che narra di prigioni esistenziali, di libertà e della solitudine che talvolta ne deriva.
L’essenza inebriante del romanzo è questa profonda inquietudine di Karl, che non si adatta mai in nessuno schema imposto o autoimposto.
Karl piuttosto abita se stesso: è come se non riuscisse mai a trovare “casa” fuori perché la possiede dentro di sé; come un lumaca all’inverso, che ha il proprio guscio nel cuore.
Questa inquietudine non è impulsiva, incosciente, immatura, ma appare quasi come una spinta interiore e consapevole a sentirsi cittadino di ogni dove sempre e di nessun luogo preciso mai. Il fratello di Karl costruisce, determina e sente nel possesso e nell’appartenenza la propria radice; chiudendosi nell’ideologia di preservare un popolo, una tradizione, un giudizio, egli crede di preservare se stesso.
Karl invece è la sua antitesi: non appartiene, non si radica e così facendo appartiene al mondo, all’universalità ma a differenza del fratello non si preserva e si espone alla solitudine di chi è davvero profondamente libero.

Karl viene tacciato di egoismo dai familiari che lo vorrebbero con loro e come loro, ma egli sente che solo evadendo dal possesso e dall’appartenenza, si possono incontrare davvero le persone con le loro differenze, le loro complessità; il motore della sua fluidità è una profonda curiosità e quest’ultima lo apre alla vera conoscenza “dell’altro”.

È facile identificarsi con Karl perché la sua inquietudine appartiene a molti di noi.
Quando scegliamo di modificare la nostra narrazione esistenziale è come se “emigrassimo” da schemi che hanno determinato in qualche modo la nostra vita.
Emigrare dunque non vuol dire solamente andare troppo lontani fisicamente.
Emigrare è sentire proprio quel sentimento lì, quello che prova Karl: sentire con ogni molecola del proprio corpo, di appartenere a una terra sbagliata e volersene allontanare.
Ma quella terra così tanto sbagliata non è, e questo lo sente anche Karl: è solo un punto di partenza che spesso ci trattiene, apparentemente rassicurante, ma che in fondo non ci somiglia più. E se è vero che si è felici solo quando si costruisce una vita che ci somiglia
bisogna attraversare fiumi, mari di nulla, senso di smarrimento e vuoto pertrovare un luogo in cui sentirci, anche solo per un attimo, a casa nostra, ed è facile alla fine scoprire che quel luogo era dentro di noi e ce lo portavamo appresso come lumache con il guscio al contrario.

Grazie a questo romanzo, in questo deserto che spesso attraversiamo nella nostra ricerca, non ci sentiamo soli.

È questa condivisione di inquietudini, La Terra Giusta.

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