Recensione: la “Radio Clandestina” di Ascanio Celestini è un viaggio nella storia
Si può raccontare l’eccidio delle Fosse Ardeatine senza cadere nella retorica o, peggio, nel già sentito? Questa è la sfida di Radio Clandestina, lo spettacolo ormai leggendario di Ascanio Celestini, che l’artista romano ha proposto al Teatro Romano di Fiesole nell’ambito dell’Estate Fiesolana.
Nel racconto una donna si avvicina e chiede a qualcuno di leggerle i cartelli sui quali è scritto fittasi e vendesi. La donna è analfabeta. Qualcuno le risponde che “al giorno d’oggi voi siete una rarità, ma durante la guerra c’era tanta gente che non sapeva leggere. E tanti andavano al cinema Iris di Porta Pia da mio nonno Giulio per farsi leggere i proclami dei tedeschi sui giornali ”.
Questo l’espediente narrativo che Celestini utilizza per costruire il suo impianto letterario. Una storia che parte da Roma capitale d’Italia per arrivare, appunto, al 25 marzo 1944, giorno della strage. L’obiettivo, dichiarato, è quello di smontare una delle più clamorose fake news, ben prima dei social e delle cyberguerre.
Celestini è come sempre magistrale, capace di coinvolgere i molti spettatori presenti con la sua impronta narrativa, fatta di tanto ritmo e momenti di ficcante ironia, confezionati nella sua caratteristica nenia, timbro e impostazione della voce studiati per catturare la mente con un effetto marcatamente ipnotico.
Attraverso il racconto dell’artista, è facile contestualizzare quel drammatico episodio nella più ampia cornice di una città (e forse anche un intero Paese) alla ricerca di una nuova identità, capace di lavare l’onta di secoli di decadenza inarrestabile. Da qui passano numerose deportazioni delle classi meno abbienti dai quartieri centrali e semicentrali verso le neocostruite periferie, ghettizzazione più o meno occulta per dare una mano di bianco prima, una vanagloria imperialista poi. Per arrivare infine al dramma delle leggi razziali del 1938.
Proprio in quelle classi, in quelle periferie, la guerra lascia i segni più evidenti. Lì non si vive di petti gonfi e disciplina, ma si spera anzi continuamente che la guerra finisca e si possano avere di nuovo pane e pace. I partigiani sono solo la naturale conseguenza e la frustrazione delle speranze tradite dell’arrivo non immediato delle truppe alleate l’alimento per le azioni sul campo.
Sono quasi 200 le interviste che Celestini ha raccolto, frutto di un lavoro certosino che ha rilevato quanto quelle storie siano ancora vive e presenti nelle ferite mai rimarginate non solo dei protagonisti superstiti o dei propri familiari ed eredi, ma pure nelle tante venature della società romana.
Come ricorda lo stesso Celestini:
L’eccidio delle Fosse Ardeatine è conosciuto da tutti, e in particolare per i romani ha segnato il momento più tragico dell’occupazione nazista. In questi mesi mi è spesso capitato di parlare del progetto al quale stavo lavorando e dopo un attimo vedere la cassiera del bar o il tecnico del teatro che mi si avvicinava dicendomi “io sono il figlio del ragazzino che giocava a pallone a via Rasella il giorno dell’azione partigiana” o “io mi chiamo Carla perché mio nonno si chiamava Carlo ed è morto alle Ardeatine” … All’inizio mi sembravano casualità, ma poi riflettendoci non è difficile capire che 335 morti alle Ardeatine hanno alle spalle centinaia di famiglie, migliaia di persone.