Recensione: "La prima volta che il dolore mi salvò la vita" - Mattoni di carta Recensione: "La prima volta che il dolore mi salvò la vita" - Mattoni di carta

Recensione: “La prima volta che il dolore mi salvò la vita” – Mattoni di carta

Recensione: "La prima volta che il dolore mi salvò la vita" - Mattoni di carta Recensione: "La prima volta che il dolore mi salvò la vita" - Mattoni di cartaLa prima volta che il dolore mi salvò la vita, di Jòn Kalman Stefánsson, in libreria per Iperborea nella traduzione di Silvia Cosimini.

I volumi Iperborea sono una piccola intima esperienza. A iniziare dal loro formato 10×20 centimetri, il formato dei mattoni in cotto. È così dal 1987, anno in cui Iperborea nacque con l’intento di tradurre in italiano gli scrittori del nord Europa, ignorati dalle altre case editrici.
Un libro è un mattone perfetto con cui costruire sogni, speranze, progetti. Ma i libri sono fatti di carta che scorre sotto le dita… e la Munken Print Cream è una carta, (svedese naturalmente per dare il giusto habitat alle parole che ospita), incredibilmente morbida al tatto.

-“Però ci sono delle pagine mezze vuote”, disse infine una di loro. Soppesò il libro tra le mani, pensosa, poi mi guardò e chiese: “perchè questo spreco di carta?”-
(p. 48)

È la poesia uno spreco di carta?

La prima volta che il dolore mi salvò la vita è una raccolta di tre volumi di poesie uscite nel secolo scorso, poesie in gran parte divenute irreperibili.
Scritte dall’autore in giovane età, hanno della gioventù lo sguardo impudente, arrogante. Sono la versione acerba di Stefánsson negli anni in cui sentiva crescere in sè quella “malsana” voglia di scrivere senza sapere nè cosa, nè come e, in cui credeva di essere in maniera esclusiva un “poeta”. E forse a ragione. I suoi successivi romanzi mettono in prosa l’anima poetica che è in Stefánsson, sempre. Un autentico moto poetico che si divincola dal quotidiano, invano, perché a esso ritorna come una spirale anomala che invece di allontanarsi dall’epicentro, ne viene continuamente attratta.

Alle tre raccolte, l’autore ha aggiunto un omaggio ai lettori, posto a mò di introduzione, di sipario: un piccolo, delizioso, autobiografico racconto, che narra di quel periodo e di come, le poesie che seguono, alla fine hanno trovato il modo di giungere a lui.

Uno spreco di carta?

In apertura di ogni raccolta sono riportati versi tratti da brani di canzoni di Tom Waits.
…E poi, eccole: le poesie. Lo sguardo scorre tra il bianco e nero della stampa. Si arresta al punto e riprende il cammino su ciò che rimane delle pagine, le “pagine mezze vuote“. Il vuoto candore ipnotico lascia rotolare note musicali, furtive, immaginarie che si mescolano nei nostri pensieri alle parole appena lette, ancora impresse sulla retina ormai rilassata. Senti la musica arrivare, la stessa forse che accompagnava l’autore mentre lasciava scivolare le parole dalla mano alla carta.

“(…) e spero si senta quando scrivo che c’è una musica dentro”,
dice Stefánsson.

Ma dentro c’è anche la poetica ironia di chi la vita l’ha presa a morsi e masticata e buttata giù in tanti bocconi amari.
Di chi ha tratto nutrimento da ogni boccone, di chi ha digerito il freddo e l’odore forte del lavoro e del pescherecchio all’alba di un cielo pallido ovunque, sempre.

“non ho niente da dire ma

la lingua è la donna della mia vita;
chino ai suoi piedi
sospetto il tradimento a ogni parola
a ogni sillaba”

L’ironia poetica di chi ha sfogliato goffamente le pagine dei grandi poeti per capirne il mistero, la magia, piangendo e ridendo lacrime per questi strani segni di inchiostro nero.
Perchè la poesia è questo: tracce nere su un foglio bianco, uno spreco di carta se non ci lasci almeno qualche lacrima.
Umorismo e misericordia. Ma anche angoscia e rabbia. E tanta, tantissima tenerezza.

“Resto a casa tutto il giorno
e quando si fa sera
arrivi tu e mi chiedi:
Che cosa hai fatto oggi?
e ti porgo una poesia
che tu leggi in trenta secondi”

Perchè il senso della poesia di Stefánsson è l’arte di usare una nota di accurata ironia nei momenti più grigi e spigolosi. È l’arte di chi disegna ciò che vede con una satira elegante per farci piegare le labbra in un sorriso delicato, mentre il nostro cuore annaspa in un sentimento troppo grande… insopportabile altrimenti.

“Non ricordo il motivo
ma avevo deciso
di porre fine alla mia vita nel fosso

sotto la fattoria

quella sera la radio annunciò

la morte di Elvis Presley

fu la prima volta che il dolore

mi salvò la vita”

L’arte di chi riesce a strapparci un sorriso, facendoci prendere coscienza di una realtà a volte terribile.
E col sorriso si può iniziare a costruire ogni cosa, anche con mattoni fatti di carta.

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