Recensione: “La presenza e l’assenza”, un noir meneghino dalla forte introspezione psicologica
Non ci sono peccati privati.
Sono tutti pubblici, tutti condividiamo
quelli degli altri e tutti gli altri
condividono i nostri.
JIM THOMPSON.
Questo è “LA PRESENZA E L’ASSENZA” di Franz Krauspenhaar (ARKADIA Editore), milanese, scrittore, poeta e musicista, nonché redattore di vari blog e riviste letterarie.
Tutto il romanzo ruota attorno all’improvvisa scomparsa di Daniela, giovane e bella moglie dell’industriale milanese Tommei. Questi decide di non contattare la polizia ma di rivolgersi ad un investigatore privato, Guido Cravat, un investigatore di fresca nomina. Aveva cominciato da meno di un mese, dunque aveva bisogno di ingranare, dunque sarebbe stato abbastanza malleabile e avrebbe fatto poche domande. Sbagliando decisamente nel suo giudizio su Cravat, Tommei decide di estrometterlo quasi subito dall’indagine sostituendolo con Saluzzi, un tipo senza scrupoli.Di questo l’avvocato Gemmò era più che certo. Aveva fatto le sue sporche indagini con le sporche persone giuste. E aveva consegnato a Tommei lo sporco numero di telefono dello sporco individuo.
Cravat, sentendo fin da subito odore di marcio in tutta la vicenda, decide di continuare da solo le ricerche e questo lo porterà ad incontrarsi/scontrarsi con colui che lo ha sostituito andando a scoprire torbide verità ( La verità non sembra mai vera. GEORGES SIMENON).
La narrazione si svolge attraverso i pensieri e le azioni di tre uomini diversi: l’industriale Tommei che vuole a tutti i costi ritrovare sua moglie, ne sentiva oramai la mancanza in maniera insopportabile, con una fitta al cuore che minacciava di paralizzarlo per il resto dei suoi giorni, ma dando ai due investigatori presso che nessuna informazione; l’investigatore Saluzzi, sadico e senza scrupoli che per il denaro era capace di uccidere due volte; Cravat, il nostro protagonista, ex poliziotto che ha deciso di lasciare l’ambiente corrotto della polizia per l’onestà e che vive una continua guerra interiore con se stesso, con il vizio del fumo, con la presenza.
Il tutto è ambientato in una Milano tanto amata quanto odiata per cui se mettessimo a paragone una foto di allora con una di oggi, entrambe scattate nello stesso punto, proveremmo una voraginosa fitta di rimpianto e di sconcerto e addirittura, in alcuni casi, di orrore. Il traffico s’era sconvolto a rotta di collo e le auto erano diventate tutte diverse, e la gente ora si vestiva, si truccava e si pettinava in modo diverso.
Attraverso Tommei, Saluzzi e soprattutto il racconto che Cravat gli fa in prima persona ( o forse si sta inconsapevolmente rivolgendo a quella presenza che ogni tanto gli sembra di percepire?), il lettore viene catapultato in una voragine di delitti, debolezze umane, psicopatie, da cui non si evince un lieto fine.
Il romanzo è di facile lettura, scorrevole, ricco di descrizioni fin troppo dettagliate, perfetto per un pubblico amante non solo del noir ma anche delle forti introspezioni psicologiche.