Recensione: "La mia prediletta" - È la tua prigione questa, non la nostra Recensione: "La mia prediletta" - È la tua prigione questa, non la nostra

Recensione: “La mia prediletta” – È la tua prigione questa, non la nostra

Recensione: "La mia prediletta" - È la tua prigione questa, non la nostra Recensione: "La mia prediletta" - È la tua prigione questa, non la nostraMentre tieni tra le mani il romanzo thriller di Romy Hausmann “La mia prediletta”, di Giunti Editore, cominci non solo una lettura ma anche un’esperienza.
Intanto sotto le dita sul lato anteriore e posteriore percepisci in rilievo la gabbia illustrata in copertina.

Apri quest’ultima e ti immergi in uno dei luoghi in cui il libro è ambientato: una foresta oscura al crepuscolo.
L’incipit del romanzo riporta una frase di Arthur Koestler, un famoso parapsicologo ungherese naturalizzato britannico: Niente è più triste della morte di un’illusione.
E il disvelarsi di una realtà, dopo aver attraversato una foresta fitta di illusioni, è il percorso che si compie tra le pagine di questo strepitoso thriller psicologico.

Un’ambulanza porta in ospedale una donna in stato di incoscienza e non identificata da documenti. Con lei c’è una bimba di carnagione diafana e di grande acume, che sostiene di essere sua figlia e che la donna ferita sia sua madre e si chiami Lena. Lena Beck era una donna scomparsa anni prima di cui si erano perse le tracce.
Gli investigatori si adoperano per scoprire dove questa donna e la figlia fossero state segregate, ma la bimba non sa dare notizie sul luogo dal quale provengono, confermando che di fatto tutta la famiglia, compreso un fratellino, fosse tenuta prigioniera all’interno di una capanna nei boschi.

Nel corso del romanzo emergono sconvolgenti e inquietanti dettagli che portano gli investigatori e i familiari di Lena a tentare di districarsi un una rete di illusioni, fantasie infantili e indizi contrastanti.

Il romanzo è scorrevole, intenso, fitto. Il ritmo è incalzante e incessante fino all’epilogo, forse solo un tantino affrettato in quel preciso capitolo.
Si è continuamente sballottati tra i racconti di Lena, di suo padre e della piccola Hannah e attraverso il loro flashback, lentamente si ricostruisce la vicenda legata al loro sequestro e vengono rivelate verità sconcertanti e dolorosissime.

Questi aspetti innescano curiosità nel lettore e il desiderio di divorare il libro pagina dopo pagina. Ogni personaggio infatti fornisce spunti ed elementi necessari a chiarire mano a mano le vicende.

Questo della Hausmann è uno di quei romanzi, in cui ogni singolo elemento è determinante nella costruzione del finale ed il lettore viene tenuto letteralmente avvinto al racconto.
I temi principali del romanzo sono il possesso e la manipolazione. L’omicidio è solo un aspetto quasi marginale del racconto, così come marginale è il ruolo del carnefice se non negli effetti sui suoi sequestrati. È agghiacciante osservare l’effetto che la prigionia e la manipolazione psicologica hanno soprattutto sui minori.

Hannah è una bambina violata e minata nella spontaneità. La sua realtà è fatta di cieca obbedienza a regole ferree e atroci senza le quali si sente perduta e colpevole.
Il suo comportamento mira in modo ossessivo a disinnescare l’esordio della violenza nell’adulto che la tiene prigioniera e le innesca un meccanismo di negazione della violenza che la porterà addirittura ad amare il carnefice, perché è l’unica forma di attenzione che da lui riceve.

Durante la prigionia Hannah ha però imparato da sua madre a viaggiare con la fantasia. Questi viaggi positivi, basati sui racconti di una realtà esterna meravigliosa, le hanno consentito di sopravvivere a tutti gli orrori e le permetteranno in qualche modo di allacciarsi alla realtà che finalmente, dopo la liberazione, potrà vivere.

“Il nostro mondo ha pareti immobili. Il nostro mondo è piccolo. Nel nostro mondo ci sono regole e punizioni e un tempo proprio. È una questione di potere.
Tu pensi di averci rinchiusi. Apparteniamo solo a te. Ogni volta che mi giri le spalle io faccio crescere un fiore. Posso dar vita a cespugli di ortensie grosse come cavoli se lo voglio e io lo voglio. Posso dare vita ad un gatto di peluche , inondare una stanza di sole. E un giorno, lo so, i miei figli potranno vedere tutto questo non solo attraverso i miei occhi.
Questa è speranza, e ho il potere di non farla mai svanire. Non ci possiedi, non veramente. È la tua prigione questa, non la nostra”

Questo stralcio contiene una verità fondamentale, che riguarda la vera capacità di liberarsi e di liberare. Empatia e resilienza. Due capacità che non hanno niente a che fare con il possesso.

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