Recensione: La Malarazza - La gente che “si fa i fatti suoi” Il detto e il non detto, l’omesso e il travisato, il leggendario e il veritiero, predestinazione e scelta. Di questo e di molto altro si narra nel romanzo “La Malarazza” di Linda Barbarino, edito da Il Saggiatore.

Recensione: La Malarazza – La gente che “si fa i fatti suoi”

Recensione: La Malarazza - La gente che “si fa i fatti suoi” Il detto e il non detto, l’omesso e il travisato, il leggendario e il veritiero, predestinazione e scelta. Di questo e di molto altro si narra nel romanzo “La Malarazza” di Linda Barbarino, edito da Il Saggiatore.Il detto e il non detto, l’omesso e il travisato, il leggendario e il veritiero, predestinazione e scelta.

Di questo e di molto altro si narra nel romanzo “La Malarazza” di Linda Barbarino, edito da Il Saggiatore.

La storia inizia con l’assalto a una corriera che trasporta frumento, merci varie e passeggeri, da parte di alcuni giovani contadini di ideologia comunista, che desiderano principalmente compiere un’azione dimostrativa e politica, che miri a contrastare il mercato nero e a distribuire equamente le risorse.

Tra questi compagni di lotta c’è Alfredo Mancuso che ambisce da sempre a un cambiamento radicale degli equilibri politici nella sua terra natale e che di questa utopia racconta a Nunziatina, figlia del maresciallo del paese.

Durante l’azione però, la situazione sfugge al controllo degli assaltatori.

In seguito alla tragedia provocata, Mancuso diventa latitante e suo malgrado si ritrova a essere protetto da una sorta di boss del luogo, che pare appoggiare le sue ideologie.

Da quel momento in poi nei racconti della gente del posto quei giovani cominciano a essere assimilati non più a compagni di lotta ma a briganti leggendari.

Linda Barbarino, in questo romanzo molto intenso, scrive in dialetto stretto e talvolta incomprensibile al lettore non siciliano.

Questo linguaggio è però funzionale a evidenziare una certa brutalità dei personaggi del racconto e delle situazioni che li inducono a compiere scelte che determinano in modo significativo la propria vita e quella altrui.

L’autrice scrive di qualcosa che chi è vissuto in piccoli paesi delle province del Sud conosce molto bene: il confine sottile che esiste tra la lotta per l’ideologia e il reato; il confine sottile che si attraversa quando si sceglie di essere “protetti” da qualcuno che non è lo Stato e si finisce col diventare collusi con una organizzazione a esso parallelo.

Il tema della legalità è affrontato molto da vicino e valuta soprattutto l’assetto culturale dei protagonisti della vicenda e del contesto in cui vivono.

E’ straordinaria questa osservazione che l’autrice ci conduce a fare del viraggio di Mancuso da giovane ideologo, che lotta per una giusta causa, a brigante, perché pone l’accento sulla confusione e sull’incertezza dei giovani che si aggregano per motivi confusi e disparati tra loro e che, in seguito a scelte che li allontanano dalla legalità, finiscono per essere identificati poi con la “malarazza”, quasi come se in fondo fossero dei predestinati.

E dunque il detto e il non detto, l’omesso e il travisato, il leggendario e il veritiero, la brutalità, l’ignoranza della gente che “si fa i fatti suoi” e soprattutto la paura, sono la cornice perfetta affinché questo passaggio, non solo nell’immaginario collettivo, ma purtroppo anche nei fatti, avvenga.

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