Recensione: La levatrice – Una donna fuori dagli schemi
La levatrice
di Moira Berti
Giovane Holden Editore
Sono molti e variegati i personaggi di questo romanzo ambientato in un paese non ben precisato e per la maggior parte in un periodo storico tormentato dalla dittatura fascista e dalla guerra. Elena, la protagonista, “cresceva fuori dagli schemi e non rispettava le regole che l’epoca imponeva” e perciò può essere considerata a tutti gli effetti un prototipo di femminista. Sua madre Ester “aveva elaborato l’idea che non avere soldi personali significasse sottomissione” e quindi non aveva ascoltato il suggerimento del marito di starsene a casa. Allo stesso modo fa Elena, che, contravvenendo ai dettami dell’epoca secondo cui la moglie si doveva limitare a badare ai figli e alla casa, non solo esercita la professione di “levatrice”, ma si dedica anche alla scrittura e alla pittura.
“Elena amava i bambini. Aiutarli a nascere era per lei fonte di gioia” e a chi le chiede perché abbia scelto quel lavoro lei dice: “Mi piacciono i bambini, soprattutto i neonati, mi piace farli venire al mondo”.
Molto bella è la parola “levatrice” del titolo, un po’ caduta in disuso e sostituita oggi più frequentemente dal termine “ostetrica”, ma rende bene l’idea di cosa significhi anche a chi è un po’ digiuno di termini dotti.
Molto spesso il titolo di un romanzo è una specie di riassunto all’osso dell’intero contenuto e anche in questo caso lo è: Elena ama il suo lavoro e lo fa con passione, ma non si dedica solo a quello.
“Per vincere l’ansia che periodicamente l’assaliva, Elena cercava sempre di fare cose nuove” è l’incipit del capitolo 28 e descrive molto bene il mondo interiore di questa donna che, alla fine del romanzo si pone una serie di domande precedute dalla parola “forse”, come del resto può succedere a chiunque di noi che a un certo punto fa un bilancio della propria vita, chiedendosi in che cosa abbia sbagliato.
Oltre alla parola “levatrice” del titolo, emblematico è il “forse” ripetuto nell’ultima pagina quattro volte, in ossequio a ciò che dice Giacomo Leopardi, secondo cui la parola forse è la più bella del vocabolario, perché apre infinite possibilità.
Elena si ripromette di scrivere “la sua storia e quella delle sue ave” e ciò la rende felice, perché, pensando alla propria vita, può sentirsi soddisfatta e affermare che “aveva faticato, ma ce l’aveva fatta, e da sola!”: è questo il messaggio di fondo che possiamo cogliere dalla lettura del romanzo di Moira Berti, cioè quello di non arrendersi mai, nonostante le difficoltà incontrate.