Recensione: "La filosofia di Jurassic Park" - Giochiamo a fare Dio Recensione: "La filosofia di Jurassic Park" - Giochiamo a fare Dio

Recensione: “La filosofia di Jurassic Park” – Giochiamo a fare Dio

Recensione: "La filosofia di Jurassic Park" - Giochiamo a fare Dio Recensione: "La filosofia di Jurassic Park" - Giochiamo a fare DioLa filosofia di Jurassic Park
A cura di Nicolas Michaud e Jessica Watkins
Tradotto da Jonatan Peyronel Bonazzi
Edizioni
Mimesis

Senta, è previsto che si vedano dei dinosauri nel suo Parco dei Dinosauri?”

Probabilmente, quando abbiamo visto Jurassic Park (alcuni tra noi hanno anche letto il celebre libro) e i suoi vari seguiti, tutto ci siamo aspettati, ma non certo di vederne le implicazioni filosofiche.

Eppure, nel primo film, c’è una scena meravigliosa in cui un John Hammond (creatore del celebre parco) emozionato aiuta un velociraptor a schiudersi dal suo uovo.

La scena è peculiare perché nasconde una metafora: tale “aiuto” può avere effetti negativi in quanto, si sa, è importante che il sangue abbia tempo per passare dalla membrana dell’uovo al nuovo nato. Forzarlo, può provocare perdite di sangue o lesioni interne.

Pertanto, come un piccolo non ancora pronto a uscire, si potrebbe probabilmente dire altrettanto del celebre parco a tema e delle implicazioni etiche, ecologiche, sociali, antropologiche e sostenibili che pone.

Il primo tema che potrebbe saltare in mente può essere un voler giocare a fare Dio ma, a ben vedere, si è creato un qualcosa di diverso e non esattamente gli stessi dinosauri delle varie epoche – messi, tra l’altro, assieme in coesistenza – e non solo perché il DNA mancante è stato sostituito con altro DNA ma anche perché non si può ricreare un intero ecosistema, tra l’altro estinto.

Non possiamo non pensare a delle conseguenze per i nuovi ecosistemi, i nuovi habitat, le nuove specie.

E se siamo responsabili delle specie di cui abbiamo e stiamo causando l’estinzione, che dire dei dinosauri (intendendo quel che, comunemente, indichiamo come dinosauri) estinti quando nemmeno eravamo previsti come specie?

No, calma, qui non si tratta di una specie cancellata dalla deforestazione, o dalla costruzione di una diga. I dinosauri hanno avuto il loro ciclo, e la natura li ha selezionati per l’estinzione”.

Così dice Malcolm, il nostro senso del limite; senso che manca ad Hammond e ai suoi scienziati che hanno una fiducia ottimistica nella scienza e nel capitalismo; ogni cosa, tuttavia, persino le migliori, hanno dei lati oscuri su cui la società, come comunità etica, deve essere interpellata.

Hammond, come il capitalismo sfrenato, mette a rischio persino la vita dei suoi stessi nipoti per testare la sua idea di parco e, quando tutto va a rotoli, dubita di tutto, ma non dell’idea in sé del parco.

I dinosauri del parco avevano, come ogni creatura, le loro proprie finalità intrinseche ma, essendo create dall’uomo, anche finalità estrinseche, ponendosi come anello di congiunzione tra natura e tecnologia, una tecnologia che aveva la pretesa di controllare ogni loro nascita.

Sappiamo tutti com’è andata, invece.

Sarà sempre Malcolm, infatti, ad affermare: “La vita non si imprigiona. La vita si libera. La vita… trova una strada.”

La possibilità di fare qualcosa, non significa necessariamente doverla fare.

Questo ci riporta al mantra di Spiderman sui grandi poteri che comportano necessariamente grandi responsabilità: non dobbiamo concentrarci sui possibili guadagni dei singoli ma sui reali bisogni dei molti.

Sempre dal film, ecco uno scambio emblematico:

Ian Malcolm: Le dico io qual è il problema insito al potere scientifico che state usando qui: Ehm… Non c’è voluta nessuna disciplina per ottenerlo […]

John Hammond: No, io non credo che lei ci stia rendendo giustizia, i nostri scienziati stanno facendo cose che nessuno ha mai fatto prima.

Ian Malcolm: Sì, sì, ma erano così preoccupati di poterlo fare che non hanno pensato se lo dovevano fare.

I curatori Nicolas Michaud e Jessica Watkins hanno raccolto gli scritti di oltre venti studiosi e li hanno raggruppati in quattro sezioni in questo saggio che è più una discussione collettiva; è lo sforzo di pensare.

Senza quello sforzo, può essere troppo tardi, e rischieremo anche noi di dover esclamare:

L’hai fatto. Brutto figlio di puttana.”

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